Eroi senza Memoria: Guerra del Nordafrica

GUERRA NORDAFRICA

Eroi senza Memoria: Guerra del Nordafrica è il titolo di questo nuovo articolo dedicato alla rubrica “Eroi senza Memoria” che ritorna a parlare di gesta eroiche di grandi Reparti e Grandi Uomini che sino allo stremo hanno combattuto in un territorio aspro e difficile, sia dal punto di vista climatico che tattico e con equipaggiature ed armi sicuramente ben diverse da quelle attuali rispetto al  soldato intelligente.

Il materiale che ho reperito è talmente vasto che dovrò suddividerlo in vari sotto episodi numerati con lo stesso titolo perché si va a diramare e sfociare in tante battaglie che sintetizzarle in un solo articolo non rederebbe Onore a tutti questi soldati che votati al sacrifico ed animati da quel senso del dovere, di appartenenza, di rispetto alla Patria e di cameratismo, hanno combattuto aspramente per donarci un pianeta libero di cui noi oggi non abbiamo rispetto, calpestando oltre la memoria ed il ricordo abbiamo sotterrato infinite pagine di storia che devono essere assolutamente riportate alla luce degli occhi di tutti.

Per fortuna che esistono ancora cerimonie, commemorazioni ed Associazioni D’Arma che si occupano di dare rilievo sul territorio il ricordo e rendere i giusti Onori a chi ha indossato una uniforme.

Questo mio nuovo articolo è un mio regalo confezionato sempre in collaborazione con il mio Fratello d’Arma Il Tenente William Rossi che mi ha fatto dono di tanto materiale da dover acquistare un hard disk esterno di backup di sicurezza in quanto dal 2 Maggio sto scrivendo ogni articolo da casa e non dispongo di tutte le apparecchiature tecniche per mantenere in sicurezza questo prezioso materiale.

Ogni giorno da oltre due mesi concordiamo insieme pezzi da selezionate, accorpare e maneggiare estremamente con cura e dedizione, analizzando le fonti, verificarle, approfondire gli argomenti. Un lungo e faticoso lavoro, fatto nel tempo libero collegando la mente, poi il cuore, l’anima ed infine le dita che digitano su una tastiera; quanto sarebbe bello poter scrivere tutto ciò con una penna ed un foglio bianco. Io lo faccio sempre, prima di accingermi a scrivere qualunque cosa prendo degli appunti a penna e mi faccio uno schema; persino sui social, mi connetto mentalmente e costruisco un post nello stesso modo (sia esso serio o ironico) immedesimandomi nell’utente che legge e che potrebbe fraintendere, magari in buona fede ciò che scrivo. Nel mio caso normalmente non succede perché nel mio modo di comunicare sono lineare e non fuorviante e chi mi conosce realmente anche in una frase comprende che dietro la tastiera c’è Alessandro.

Veniamo al tema di questo Articolo:

LA CAMPAGNA D’AFRICA

Le operazioni in Africa Settentrionale iniziarono il 10 giugno 1940, al momento della dichiarazione di guerra. I soldati italiani, al comando del generale Rodolfo Graziani, più numerosi, ma peggio armati ed organizzati, dopo un’iniziale offensiva nel settembre-ottobre dello stesso anno, si spinsero fino a Sidi-el-Barrani a 90 Km dalla frontiera egiziana.

Un deciso contrattacco inglese, appoggiato da mezzi corazzati e da una forte aviazione, travolse le divisioni italiane in Egitto, riuscendo persino ad invadere la Cirenaica e conquistarla. Il morale delle truppe italiane, scosse e disorganizzate, scese molto in basso, ma il comando inglese non poté approfittarne per tentare la conquista della Tripolitania.

Uomini e mezzi dovettero essere trasferiti in Grecia, dove le truppe italiane erano in forte difficoltà. Mussolini constatando la gravità in cui si trovavano i soldati italiani in Libia, accettò l’offerta d’aiuto di Hitler. Un’armata tedesca, totalmente corazzata e meccanizzata, addestrata per la guerra nel deserto, fu inviata in Africa sotto il nome di Afrikakorps. Il comando dei reparti fu affidato a Erwin Rommel, un brillante ufficiale che si era distinto in Francia, al comando di una divisione corazzata.

L’arrivo dell’Afrikakorps e la conquista di Tobruk (gennaio-giugno 1942)

Erwin Rommel, con la sua armata corazzata (l’Afrikakorps), iniziò subito una serie di abili contrattacchi, che gli permisero di riconquistare il territorio perduto dagli Italiani. Utilizzò per lo scopo vari stratagemmi, come il truccare delle macchine Volkswagen a carri armati, in modo da far credere al nemico di trovarsi davanti a forze superiori. Furono così riconquistate tutte le città della Cirenaica, tranne Tobruk dove la guarnigione inglese resistette agli assalti nemici.

Seguì poi un altro attacco inglese (Operazione Crusader), che costrinse gli Italo-Tedeschi ad abbandonare nuovamente la regione. In questo modo all’inizio del gennaio del 1942, la situazione si presentava così: gli inglesi attestati saldamente nella parte orientale della Libia e gli Italo-Tedeschi rimasti in Tripolitania con pochi mezzi, schierati sulla difensiva. Rommel però ricevette di nuovo cospicui aiuti, grazie alle rotte dei convogli nel Mediterraneo rese più sicure, per i continui bombardamenti a cui era sottoposta Malta, i quali ridussero l’isola all’impotenza. Incominciò così una nuova potente offensiva, che colse le forze inglesi totalmente impreparate.

Le posizioni perdute furono riconquistate e anche Tobruk venne presa di slancio, senza approntare un lungo assedio. Le truppe nemiche furono costrette alla ritirata, ma non annientate come si sperava, nonostante ciò in campo tedesco e italiano si era sicuri in quel momento di poter raggiungere al più presto il Canale di Suez. Perfino Mussolini arrivò in Libia per fare l’entrata trionfale ad Alessandria. Con questo ottimismo dunque, l’esercito Italo-Tedesco si preparò ad assaltare le ultime linee di difesa nemiche ad El Alamein.

La conquista di Tobruk

L’offensiva che avrebbe portato le truppe Italo-tedesche sulle dune infuocate di El Alamein, scattò il 26 maggio del 1942. Dopo tre settimane di duri combattimenti, il 21 giugno venne espugnata Tobruk, ultima roccaforte inglese in Libia, presidiata da circa 30000 soldati inglesi sotto il comando del generale Ritchie.

Il morale dell’Ottava Armata non era mai sceso così in basso, tanto che Rommel dopo una fulminea penetrazione in Egitto, con i suoi pochi mezzi riuscì a conquistare velocemente Marsa Matruk, nonostante gli Inglesi avessero una netta superiorità di uomini e mezzi.

Basta solo pensare che ai 26 carri tedeschi usati per l’ attacco, gli inglesi ne contrapposero ben 150. L’Ottava Armata però non venne distrutta ma solo messa in fuga e sotto il comando di Ser Claude Aunchinlek (comandante in capo inglese del Medio Oriente), si dispose per l’ultima difesa nella linea di El Alamein.

La decisione di Aunchinlek fu saggia, in questo luogo, il deserto egiziano si restringe fino a formare un collo largo circa 70 km e compresa fra il mare e la depressione di Bab el Qattara, vi era una area paludosa al di sotto del livello del mare.

Tutto ciò rendeva molto più facile la difesa di Alessandria e del Canale di Suez. Il 28 giugno le colonne inglesi iniziarono a prendervi posizione e giorno 30 la linea di difesa poté essere completata. Il deserto verso la direzione da cui dovevano giungere i carri tedeschi sembrava vuoto. Improvvisamente si alzò una nube di sabbia che girava vorticosamente e si udì in lontananza un sordo rombo di motori. Gli Italo-Tedeschi adesso erano a soli 88 km da Alessandria, ma in pieno deserto. Rommel in contrasto con il generale Bastico, comandante supremo delle forze in Africa Settentrionale e suo diretto superiore ( a livello nominale), dopo la presa di Tobruk aveva deciso lo stesso di avanzare, contravvenendo agli ordini, di sospendere tutte le operazioni per consentire di attuare l’importante piano della conquista della base inglese di Malta, (Operazione Ercole ). L’isola costituiva una spina nel fianco per i convogli italiani diretti in Libia, e questa decisione come si vedrà in seguito, gli fu fatale.

Le due battaglie di El Alamein (1° luglio – 8 novembre 1942)

Quello che spesso viene ignorato è che nel deserto sahariano presso la località conosciuta come El Alamein, in arabo “Due Bandiere”, non si consumò una singola battaglia ma una serie di azioni che si dipanarono dal 30 Giugno 1942 al 4 Novembre dello stesso anno. Quattro mesi di aspri e furiosi combattimenti che capovolsero le sorti del secondo conflitto mondiale causando la fine del sogno di Rommel e del suo Fuhrer di raggiungere l’Egitto e impadronirsi dei preziosi pozzi di petrolio che si trovavano in Iraq, Iran e Siria.

La scelta di questo luogo non fu però casuale: già nel 1941 l’esercito inglese decise di erigere in questo luogo l’ estremo baluardo difensivo contro gli eventuali attacchi rivolti verso Est e il Delta del Nilo. Tutto ciò, come vedremo, per evidenti regioni territoriali e logistiche:

  • Il Sahara egiziano in questo punto si restringe formando un passaggio di soli 60 Km. delimitato da un lato dal mare e dall’altro dalla inospitale depressione di el Qattara formata da paludi e sabbie mobili che impedivano azioni di aggiramento a largo raggio.
  • Una linea ferroviaria e una strada costiera la univano ad Alessandria, la principale base logistica distante poco più di 100 Km. Oltre a ciò un acquedotto portava acqua dolce direttamente sulla linea dei combattimenti facilitando in maniera sensibile lo svolgimento delle operazioni.

Per comprendere la caotica evoluzione degli avvenimenti è fondamentale conoscere i due schieramenti che in quel torrido deserto si contrapposero nell’estate del 1942. Le forze italo – tedesche schierarono da nord a sud i seguenti reparti:

  • XXI Corpo d’Armata: Divisione di Fanteria Trento, Bologna e la 164.a ID germanica. A supporto due battaglioni di Fallschirmjager della Brigata Ramcke.
  • X Corpo d’Armata: Divisione di Fanteria Brescia, due battaglioni della Brigata Ramcke, la Divisione Paracadutisti Folgore e la Divisione di Fanteria Pavia.
  • Divisioni Corazzate erano arretrate in modo da poter intervenire nei punti in cui la linea del fronte fosse ceduta. Anche in questo caso da Nord a Sud troviamo la Quindicesima Panzerdivision, la Divisione Corazzata Littorio, la Ventunesima  Panzerdivision e la Divisione Corazzata Ariete.
  • Divisioni Motorizzate Leichtdivision e Trieste erano schierate lungo la costa per prevenire un eventuale sbarco britannico alle spalle delle forze dell’Asse.
  • In tutto 100 mila uomini supportati da circa 600 pezzi d’artiglieria e 500 anticarro. Altrettanti furono i carri armati, in particolare i tedeschi PzKpfw III e IV e i nostri M13. Oltre a ciò 340 aerei da combattimento completavano il quadro delle truppe italo – tedesche.
  • L’Esercito britannico schierò invece il 30° Corpo d’Armata e il 13° appoggiati nelle retrovie dal 10° per un totale di oltre 200 mila uomini a cui si assommarono 1000 pezzi d’artiglieria, 1500 controcarro, 1200 carri medi di cui 400 Grant e i nuovissimi Sherman.

Oltre a questo sostanziale vantaggio numerico le truppe inglesi poterono contare su altri due fattori che le avvantaggiarono:

L’avanzata sostenuta da Rommel aveva ridotto notevolmente la forza e l’entità dei suoi reparti che si presentarono di fronte alle linee nemiche “col fiatone” vista anche la complicata situazione dei rifornimenti. Tutto il necessario all’avanzata dovette essere trasferito dai porti della Libia che distavano centinaia di Km dalla linea del fronte, mentre l’esercito inglese poté contare su approvvigionamenti costanti da Alessandria che si trovava ad appena 100 Km.

La scoperta di Enigma e dei codici di decrittazione permise agli Inglesi di conoscere tutto ciò che veniva comunicato tra i vari reparti dell’Asse: dai rifornimenti alle operazioni più segrete, comprese quelle personali degli alti comandi tedeschi e ovviamente italiani. Questa informazione è stata resa nota pochi anni fa: prima era convinzione diffusa che la colpa dei mancati rifornimenti fosse tutta da scaricare sulle spalle del povero alleato italiano e di qualche “spione” all’interno degli Alti Comandi.

La prima battaglia di El Alamein avvenne il 1 Luglio 1942 quando Rommel, nonostante fosse consapevole della scarsità di mezzi materiali e umani, tentò la fortuna attaccando le truppe inglesi a Nord del loro schieramento utilizzando la Novantesima  Divisione Leggera tedesca che impegnò le truppe inglesi tra El Alamein e Ruweisat, mentre le due divisioni corazzate dell’Africa Korps e il 20° Corpo italiano tentarono l’aggiramento da Sud: le truppe di Auchinleck, il comandante inglese, si batterono egregiamente spronate dall’idea, in caso di sconfitta, di dover lasciare il suolo africano da sconfitti.

L’attacco a Sud non ebbe alcun successo in quanto finì tra le truppe indiane che provocarono un arresto inaspettato alla “sorpresa” di Rommel che vide il suo piano di battaglia completamente scompaginato. Il giorno successivo, il 2 Luglio, il Feldmaresciallo inviò L’Afrika Korps in appoggio alla Novantesima Leggera nel tentativo di raggiungere la strada costiera isolando le truppe inglesi e sudafricane che però spensero, ancora una volta, ogni velleità avversaria.

Nonostante anche il giorno seguente (3 Luglio) Rommel cercasse di rompere le linee nemiche, il risultato fu sempre il medesimo tanto che dovette abbandonare i propri sogni di gloria. In questo frangente la Divisione corazzata Ariete fu quasi del tutto distrutta nell’attacco a Sud riuscendo a salvare solo 10 carri M13 e alcune di centinaia di uomini, mentre l’attacco a Nord continuò senza dare alcun risultato.

L’Ottava Armata britannica era ancora troppo scossa per raggiungere quella vittoria che sarebbe stata possibile se avesse osato maggiormente invece di temere il mito della “Volpe del deserto”. Dopo tre giorni di combattimenti, ormai era chiaro che la situazione era mutata in maniera radicale.

Per comprendere a fondo la situazione critica dei rifornimenti è necessario precisare alcune cose: quando l’Italia entrò in guerra il 10 Giugno 1940 tutti gli osservatori internazionali si sarebbero aspettati la conquista dell’isola di Malta, una base inglese ormai abbandonata al proprio destino, ma che nel futuro sarebbe diventata una fastidiosa spina nel fianco delle forze dell’Asse.

Nella primavera del 1942 dopo l’intervento tedesco in Italia la base fu quasi completamente distrutta e pronta da essere occupata, tanto che fu anche preparato un piano denominato “Operazione C3” e approntata la forza di sbarco agli ordini dell’Ammiraglio Vittorio Tur.

Nel Giugno le forze erano pronte e schierate in Sicilia, ma fu proprio in questo periodo che le rivalità personali nell’esercito tedesco presero il sopravvento: Rommel era convinto di poter finalmente prendere Tobruck, la sua ossessione, pertanto rivolgendosi direttamente al Fuhrer ottenne che molte truppe e mezzi di Kesselring, destinati all’operazione C3, fossero trasferiti momentaneamente in Africa. Rommel avrebbe conquistato il suo obiettivo, che avvenne il 21 Giugno,  poi si sarebbe dato vita alla conquista di Malta.

Così non fu: dopo la sua vittoria la “Volpe del Deserto” continuò la sua avanzata fino ad El Alamein e Hitler, ormai euforico per i risultati ottenuti e da sempre avverso alle operazioni anfibie, diede l’ordine di abbandonare Malta commettendo uno dei più gravi errori della Seconda Guerra Mondiale.

Gli Inglesi diedero nuova vita a quella base e con la conoscenza di tutti i piani di trasferimento convogli, grazie ad Enigma, riuscirono ad affondare numerosissimi carichi che si sarebbero rivelati di importanza capitale per le sorti dell’avanzata verso l’Egitto. Alcune stime prevedono che nei porti della Libia giungesse solo il 60% dei materiali inviati. Come detto la linea del fronte distava molte centinaia di Km, pertanto la quantità che giungeva al fronte sarà raramente superiore al 40%.

Tra la fine del 1941 e quella del 1942 si stima che vennero perse:

  • 43 unità da guerra per un totale di 30000 t.
  • oltre 6000 uomini
  • 286 navi mercantili per un totale di 601.170 t. e 760 uomini di equipaggio.

Alle perdite delle forze italo – tedesche va assommato il fatto che gli Inglesi ricevettero ingenti aiuti materiali dagli USA che alimentarono in maniera sistematica gli arsenali delle truppe di Auchinleck.

Dopo alcuni giorni caratterizzati da infruttuosi tentativi da ambo le parti i due comandanti decisero di arrestare le azioni e riorganizzare le truppe. Si poté così dire conclusa la prima battaglia di El Alamein: “un tiro alla fune” continuo che se non vide vincitore l’esercito inglese, diede dimostrazione che anche quello italo – tedesco era in condizioni estremamente critiche.

E’ proprio in questo periodo che avvenne l’avvicendamento al vertice delle truppe inglesi: nei primi giorni di agosto Auchinleck venne sostituito da Montgomery che Churchill così definì: “ come generale è formidabile ma come uomo è veramente insopportabile”.

Rommel intanto stava riorganizzando le proprie truppe: dalla Germania giunse la 164.ima Divisione leggera, mentre l’Italia inviò la Divisione paracadutisti Folgore comandata dal generale Frattini che lasciò molto impressionato il Feldmaresciallo. Oltre a queste unità giunse una Brigata paracadutisti tedesca: la Ramcke. Venne formata una nuova Divisione corazzata italiana, la Littorio e gli organici furono pressoché ripianati anche se le scorte ormai erano al limite, in particolare quelle di carburante.

L’obiettivo della nuova azione era l’aggiramento della munita posizione di Alam el Halfa ed il raggiungimento della litoranea il più in profondità possibile, dopodichè la Panzerarmee si sarebbe divisa in tre tronconi: uno avrebbe puntato su Alessandria, uno sul Cairo e il terzo sul Delta del Nilo.  

Lo schieramento prevedeva:

  • sull’ala destra avrebbero agito la 15.ima  e 20.ima divisione corazzata tedesca e la Littorio ed Ariete italiana con in appoggio la Divisione motorizzata Trieste;
  • al centro la 90.ima divisione leggera tedesca affiancata dalla brigata Ramcke, la divisione Folgore e la Brescia;
  • a sud un contingente di paracadutisti tedeschi ed il XXXI battaglione italiano.

Alle 22 del 30 Agosto Rommel iniziò l’attacco che però fu immediatamente ritardato dai numerosi campi minati, “ i giardini del diavolo”, che i reparti si trovarono di fronte. All’alba del 31 la sola Littorio li aveva superati,  mentre gli Inglesi che erano in attesa dell’attacco contrattaccarono a loro volta dalle alture di Halam el Halfa e per Rommel questo fu la conferma che la sorpresa era irrimediabilmente perduta. Il carburante cominciò a scarseggiare tanto da obbligarlo a mutare strategia: invece di aggirare le alture preferì attaccarle frontalmente. Questa mossa che Monty si aspettava scatenò una durissima battaglia che si protrasse per tutto il giorno  senza alcun risultato da entrambe le parti.

Nella giornata successiva la battaglia proseguì in maniera frammentaria in numerosi settori del fronte e la stanchezza e la mancanza di lucidità convinsero Rommel a ordinare la sospensione dell’attacco che da più parti fu ritenuta incomprensibile dato che a quel momento le truppe italo – tedesche erano riuscite ad aggirare gli avamposti di quelle inglesi.

La seconda battaglia di El Alamein si concluse con un forte bilancio di perdite per le truppe dell’ Asse: 530 caduti, 1350 feriti, 570 dispersi nonché 490 tra carri ed altri mezzi fuori combattimento.  La vittoria inglese non fu però da attribuire alla superiorità delle sue forze bensì alle notizie che Ultra intercettò da Enigma ed alle incertezze di un ormai spento Rommel.

Dopo le indecisioni palesate dall’armata italo – tedesca e dal suo comandante, l’iniziativa passò nelle mani del generale Montgomery che, parafrasando le parole del generale Patton si “preoccupò più di non perdere la battaglia che di vincerla”. Il comandante inglese decise di potenziare la “sua” VIII Armata, in modo da avere un rapporto di forze il più possibile favorevole. Per questo motivo non si sarebbe potuto attaccare a Settembre e dato che per l’offensiva era necessario aspettare un giorno di luna piena si optò per il 23 Ottobre. Per quel giorno tutto sarebbe stato approntato per l’Operazione Lightfoot ( Piede leggero).

Un’altra ragione che indusse lo Stato Maggiore inglese a scegliere questa data fu quella che gli USA avevano in piano di inviare un corpo di spedizione contro la Germania facendolo sbarcare in Marocco ed in Algeria. L’Operazione Torch sarebbe scattata l’8 Novembre e con le truppe di Rommel impiegate ad El Alamein l’esercito USA avrebbe dovuto fronteggiare poche e demotivate truppe francesi  che presidiavano le colonie africane.

Montgomery grazie ai rinforzi affluiti durante l’estate poté contare su 220 mila uomini contro i 108 mila di Rommel, la metà dei quali italiana. Oltre a ciò aveva il dominio incontrastato dei cieli e 1100 carri contro i 200 Tedeschi.  Ad aggravare questa situazione il 23 Settembre giunse la notizia della malattia di Rommel che venne momentaneamente sostituito dal generale Stumme.

Nella terza ed ultima battaglia di El Alamein le truppe italo – tedesche erano schierate da nord secondo questo schema:

  • Tra il mare e la depressione di el Mireir: 7° reggimento Bersaglieri; 164^ Divisione di fanteria tedesca; Divisione di fanteria Trento e Bologna; due battaglioni della Brigata paracadutisti Ramcke.
  • Tra la depressione di el Mireir e Qaret el Himeimat:      Divisione di fanteria Brescia; Divisione paracadutisti Folgore rinforzata con il XXXI battaglione genio; Divisione di fanteria Pavia e due battaglioni della Brigata paracadutisti Ramcke.
  • A nord la Divisione corazzata Littorio e la 15.ima Divisione corazzata tedesca
  • A sud la Divisione corazzata Ariete e la 21.ima Divisione corazzata tedesca
  • In riserva, nel settore nord, la 90.ima Divisione leggera tedesca e la Divisione motorizzata Trieste entrambe a difesa della strada costiera.

Le modeste forze aeree erano dislocate negli aeroporti avanzati di Fuka e Abu Aggag:

  • 4° stormo caccia Macchi 202
  • 3° stormo caccia Macchi 202 e CR 42
  • gruppi caccia Me 109, Stuka e Ju 88 della Luftwaffe

Le forze inglesi erano schierate:

  • tra il mare e il costone del Ruweisat:   la 9.a Divisione di fanteria australiana; 51.ima Highlands; 2.a neozelandese, 1.ima sudafricana e 4.a indiana
  • tra il Ruweisat e Qaret el Himeimat:   la 50.ima Divisione di fanteria britannica rinforzata dalla Brigata greca; la 44.ima Divisione di fanteria britannica con la Brigata “France Libre”
  • A nord la 1.a e 10.a Divisione corazzata inglese
  • A sud la 7.a Divisone corazzata inglese

Alle 20.40 del 23 Ottobre scattò l’offensiva inglese: quasi 1000 cannoni illuminarono a giorno un tratto di 50 Km. di fronte seguiti dai 1100 carri e dagli oltre 220 mila uomini. L’incessante gragnola  di colpi colse del tutto impreparati i vertici delle truppe italo – tedesche che si sarebbero aspettate un attacco a settentrione ma non in quella data: ore di completa confusione colsero lo Stato Maggiore della Panzerarmee, tutti cercavano notizie ma nessuno le seppe fornire e a completare ulteriormente il quadro ci pensò la morte del Generale Stumme.

Una prima notizia fu che gli Inglesi non erano riusciti nel loro intento principale:  aprire dei varchi nei campi minati del crinale di Miteirya in modo da raggiungere il deserto coi loro mezzi corazzati. Malgrado la confusione i reparti di prima linea avevano reagito con prontezza,  tra queste la più provata risultava essere la Folgore che resse l’urto nel settore centrale perdendo cinque delle sue compagnie. A nord tra Tell el Elisa ed il mare gli Australiani attaccarono con scersi risultati le posizioni del 7° Bersaglieri mentre tra Tell el Elisa e il Kidney Ridge gli avamposti della “Trento” e della 164.ima dovettero cedere dopo aspri combattimenti.

Fu proprio quella sera che Montgomery, sotto pressione sia da Londra che dai suoi comandanti, si trovò a fronteggiare la concreta possibilità di un fallimento. Aveva previsto di sfondare in ventiquattro ore e invece la Panzerarmee aveva retto, nonostante tutto.

Con la morte di Stumme il feldmaresciallo Rommel fu costretto ad un tempestivo rientro in linea e subito parti all’attacco, rinfrancato dalla notizia che preziosi rifornimenti di carburante sarebbe giunti in porto. La notizia, ovviamente, fu intercettata e le cisterne affondate.

Nella giornata del 28 riprese intenso l’attacco dell’VIII armata a Nord dove le truppe inglesi volevano superare l’altura di Kidney Ridge ma la risposta dei caposaldi nemici non si fece attendere seppur con forti perdite. A Sud l’11.ima e 12.ima compagnia della Folgore tennero le posizioni a prezzo di ulteriori perdite ma gli Inglesi abbandonarono sul campo 22 carri. Stessa sorte ebbero gli attacchi notturni che spinsero Montgomery a bloccare le offensive in quel settore e concentrarsi maggiormente in quello nord. Convinto di questo, Rommel decise di spostare in quel settore la 21.ima panzer, la 90.ima Divisione leggera e la “Trieste”.

Lo stesso Montgomery a causa delle gravi perdite subite dall’VIII armata decise di rallentare il ritmo delle azioni per riorganizzare i propri reparti prima dell’attacco conclusivo.

Il 29 dopo due giorni di relativa calma l’VIII armata tornò all’attacco. La Divisione australiana del generale Morshead sfondò le difese tedesche della 90.ima leggera e dilagò fino alla costa accerchiando un battaglione bersaglieri e due tedeschi che riuscirono ad aprirsi un varco poche ore dopo. Dopo una settimana di lotta iniziavano a vedersi i segni della stanchezza e della mancanza di rifornimenti: i serbatoi dei carri erano quasi vuoti ma si continuava a combattere, a resistere e a morire a prezzo di gravissime perdite ed altissimi sacrifici.

Furono questi atti di eroismo e tenacia che spinsero “Monty” ad attaccare nel settore Sud per cercare di sfondare le linee nemiche. All’una di notte del 2 Novembre scatenò l’attacco che in nome in codice fu definito “Supercharge”: 800 carri e 360 cannoni entrarono in azione per permettere alla fanteria di raggiungere la collina di Tell el Aqqaqir, ma, nonostante le nostre truppe fossero sfibrate da giorni di lotta e mancassero completamente di acqua e cibo, gli Inglesi non riuscirono a raggiungere nessuno degli obiettivi. All’alba reparti della 15.ima e 21.ima Divisione corazzata e i resti della Littorio e della Trieste contrattaccarono senza risultati ma con gravissime perdite: la Littorio rimase con soli 20 carri mentre la Trieste perso un battaglione fanteria e quello carri. La stessa fora inglese perse in numero spropositato di carri, la sola IX Brigata ne abbandonò 47 sul terreno.

Durante la mattinata Rommel prese, però, la decisione di ritirarsi lasciando ammutoliti sia il comando italiano che l’OKW tedesco che finalmente comprese quanto grave fosse la situazione. Nonostante questo l’ordine di Hitler fu “vittoria o morte” impedendo così il ripiegamento delle truppe verso Fuka e una posizione più sicura.

Il giorno 4, intanto, si continuava a combattere. L’offensiva inglese riprese con nuovo slancio e vigore sia verso nord, dove gli Australiani cercarono di dirigersi verso la costa, sia al centro dove la 1.a Divisione corazzata inglese riuscì a sfondare tra la 15.ima e 21.ima Divisione corazzata tedesca. A sud, invece, le divisioni Trento e Bologna   cedettero di schianto e l’Ariete si consumò sul posto: celebri sono gli ultimi messaggi radio “Ariete accerchiata, Ariete continua a combattere”. A sera il XX Corpo Italiani sarà annientato dopo una lotta impari contro 100 carri inglesi. Solo 200 bersaglieri riuscirono a disimpegnarsi.

Soltanto la Trieste, unica ad aver mantenuto un certo equipaggiamento, riuscì a retrocedere ordinatamente, le altre divisioni, Pavia, Bologna, Trento, Brescia e Littorio ormai erano ridotte a piccole unità.  Altra divisione a coprirsi di gloria fu la Folgore che solo alle 14 del giorno 6, esauriti gli ultimi proiettili da 47 e le ultime cartucce, si arrese suscitando l’ammirazione del nemico.

Dopo 12 giorni di lotta per le truppe italo – tedesche iniziò il massacrante ripiegamento. Nei giorni seguenti oltre 35 mila soldati saranno fatti prigionieri. Nel suo complesso si registreranno:

  • 9 mila morti o dispersI
  • 15 mila feriti
  • 400 carri distrutti
  • I tre corpi d’Armata italiani ( 10°, 20° e 21°) non esistevano più mentre l’VIII armata inglese registrò 5000 morti, 9 mila feriti e 500 carri distrutti.

BATTAGLIA DI TUNISI (2 aprile-13 maggio 1943)

2 aprile 1943

Il porto di Sfax viene bombardato da aerei anglo-americani. Stessa sorte tocca nei giorni successivi agli altri centri della costa come Susa, Biserta e la stessa Tunisi, il cui porto è reso inutilizzabile.

3 aprile

Opponendo sempre una strenua e ordinata resistenza, le forze italo-tedesche cominciano ad arretrare verso nord sulla cosiddetta linea di Enfidaville.

5-6 aprile

Nella notte l’8^ armata del Gen. Montgomery sferra un poderoso attacco alla linea dell’Akarit. A mezzanotte la 4^ divisione indiana raggiunge quota 275 aggirando così da sud l’Akarit. Ma la linea non viene sfondata e le truppe dell’Asse possono retrocedere ancora verso nord, verso cioè la nuova linea difensiva di Enfidaville, una serie di rilievi che si estendono fino al Djebel Mansour e che rappresenta l’ultima protezione di Tunisi. Le perdite dell’Asse sono enormi: la divisione italiana Centauro è stata sciolta e quelle che sono rimaste non raggiungono il 50% degli effettivi.

7 aprile

L’8^ armata inglese si ricongiunge con la 1^ armata americana non lontano da Graiba, nel golfo di Gabès.

Continua il ripiegamento verso Enfidaville delle truppe dell’Asse.

8 aprile

Nuovo arretramento degli italo-tedeschi verso la linea di Enfidaville: reparti italiani rimasti senza ordini e isolati sulla destra dello schieramento, si arrendono dopo aver cercato senza successo di disimpegnarsi combattendo.

9 aprile

L’insostenibile e costante spinta degli inglesi costringe le truppe dell’Asse ad un nuovo “balzo indietro” verso Enfidaville.

12 aprile

Nel pomeriggio le truppe italo-tedesche si sono attestate sulla linea di Enfidaville mentre continuano gli attacchi dell’8^ armata inglese.

Gli Alleati giungono a Susa: ormai solo Enfidaville separa l’8^ armata da Tunisi.

14 aprile

Aumenta la pressione alleata sulla linea di Enfidaville, e in particolare sui capisaldi di Takrouna e Garci, segno che si avvicina l’ora dell’offensiva finale.

20 aprile

Durante la notte l’8^ armata britannica lancia un’offensiva, da sud, nel tentativo di sfondare le linee nemiche: seguono tre giorni di scontri durissimi, ma i soldati del gen. Messe riescono a contenere l’attacco degli inglesi nonostante la caduta del caposaldo di Takrouna.

21 aprile

I tedeschi sferrano un contrattacco nel settore compreso tra le località di Medjez el Bab e Goubellat, al centro dello schieramento alleato, ma vengono respinti con perdite gravissime.

22 aprile

Il gen. Montgomery interrompe l’attacco della sua 8^ armata contro la linea di Enfidaville. Contemporaneamente la 1^ armata inglese (al comando del gen. sir Kenneth Arthur Anderson) lancia una serie di attacchi sulle alture a sud-ovest di Tunisi: il V corpo britannico punta verso Longstop Hill e Peter’s Corner (che dominano la valle del fiume Medjerda) nell’intento di avanzare su Tunisi passando attraverso la località di Massicaul. Il corpo statunitense del gen. Bradley attacca in direzione di Mateur (tenendo in particolare conto la “Quota 609” da cui si domina la cosiddetta “Trappola per topi”, una valle attraverso la quale si può arrivare facilmente alla pianura), mentre al sud il IX corpo britannico avanza verso la pianura di Goubellat.

23 aprile

Gli inglesi raggiungono la Longstop Hill, ma vengono duramente impegnati dalle forze dell’Asse.

26 aprile

La Longstop Hill viene conquistata dalle truppe del V corpo britannico che raggiungono Djebel Bou Aoukaz.

28-29 aprile

Mentre un disperato contrattacco delle truppe dell’Asse consente loro di riconquistare (temporaneamente) Djebel Bou Aoukaz, le forze del Il corpo americano combattono accanitamente per raggiungere “Quota 609″.

30 aprile

In appoggio alla Prima armata britannica, il gen. Alexander invia la 4^ divisione indiana e la 6^ e 7^ divisione corazzata inglese, distaccandole dall’8^ armata. Intanto il Gen. Von Arnim, che ha sostituito Rommel, ha concentrato le sue forze attorno a Tunisi, prendendo posizione nelle alture che dominano la città: è su questa ridotta che si scatena un nuovo attacco alleato. A nord, intanto, verso la costa, la 9^ divisione americana sfonda il fronte minacciando cosi le postazioni tedesche nella “Trappola per topi”.

Nel mese di aprile le forze dell’Asse hanno ricevuto rinforzi e rifornimenti col contagocce: ben 200 aerei da trasporto italo-tedeschi sono stati abbattuti dalla caccia statunitense tra la Sicilia e la Tunisia: nelle condizioni in cui si trovano, le forze dell’Asse in Africa stanno compiendo un vero e proprio miracolo se riescono ad opporre ancora una valida resistenza.

1° maggio

Gli americani conquistano “Quota 609” ma non riescono a procedere per l’accanita difesa tedesca. In particolare la 1à divisione corazzata americana è bloccata dalle retroguardie nemiche nella “Trappola per topi” il grosso dell’esercito tedesco ripiega verso Mateur,dove organizza una nuova linea difensiva.

2 maggio

Nonostante gli sforzi, gli americani non riescono a sfondare nella “Trappola per topi”.

3 maggio

La 1^ divisione corazzata americana ha ragione della resistenza tedesca e riesce a sfondare le linee nemiche in direzione di Mateur. Intanto anche il settore centrale e meridionale del fronte sono in movimento per quello che si ritiene l’attacco finale.

4 maggio

Sulla linea difensiva di Mateur i tedeschi si difendono ancora. Italia. Dopo quattro giorni di stasi riprendono i bombardamenti alleati sulla penisola: è oggi la volta di Taranto e Reggio Calabria, che tuttavia non subiscono gravi devastazioni

5 maggio

Verso sera la 1^ divisione di fanteria inglese conquista Djebel Bou Aoukaz: alle sue spalle sta avanzando il IX corpo del gen. Horrocks, che ha sostituito da pochi giorni il gen. Crocker, rimasto ferito.

A sud il XIX corpo francese del gen. Juin attacca in direzione di Pont-du-Fahs, ultima linea di difesa prima di Tunisi.

6 maggio

All’alba, protette da un formidabile fuoco d’artiglieria, la 6à e la 7à divisione corazzata, del IX corpo inglese, riescono a penetrare nella pianura alle spalle di Djebel Bou Aoukaz, creando lo scompiglio nelle comunicazioni e nei collegamenti delle forze dell’Asse. Pur con molta difficoltà, le due divisioni corazzate inglesi riescono a raggiungere Massicault.

A sud continua l’avanzata delle truppe francesi in direzione di Pont-du-Fahs, mentre a nord, la 9à divisione americana punta su Biserta e la 1^ corazzata americana, superata Mateur, marcia su Ferryville (a nord) e su Protville (a est).

7 maggio

Gli americani entrano a Biserta, gli inglesi conquistano Tunisi, i francesi raggiungono Pont-du-Fahs. La resistenza delle truppe dell’Asse comunque continua.

8 maggio

L’avanzata alleata continua verso il mare mentre le truppe dell’Asse si ritirano nella penisola di Capo Bon. Intanto un convoglio italo-tedesco, formato da 3 piroscafi, riesce a raggiungere le acque di Tunisi, dove però viene attaccato da unità inglesi: le navi dell’Asse colano a picco senza poter scaricare niente. In mattinata il comando del Gruppo di armate italo-tedesche in Nordafrica segnala che nessuna delle sue unità può muoversi per mancanza di carburante.

9 maggio

Gli Alleati avanzano verso la penisola di Capo Bon. Gli inglesi giungono in prossimità di Hammam Lif dove vengono duramente impegnati dai tedeschi.

10 maggio

Conquistata Hammam Lif, la 6^ divisione corazzata inglese si getta su Hammamet e su Korba, sulla costa orientale della penisola di Capo Bon, con l’intento di ricongiungersi ai reparti dell’8^ armata di Montgomery che stanno avanzando da Enfidaville.

11 maggio

Cessa ogni resistenza da parte delle truppe dell’Asse: gli Alleati hanno conquistato tutto il paese. In Africa è proclamato il “cessate il fuoco”.

12 maggio

Il Gen. tedesco Jurgen Von Arnim, comandante delle truppe tedesche in Africa, si arrende.

13 maggio

Anche il gen. Giovanni Messe, cui proprio in giornata viene notificata la promozione a Maresciallo d’Italia, è costretto ad arrendersi agli Alleati: tra tedeschi e italiani hanno deposto le armi circa 250.000 uomini. Il gen. Alexander invia a Churchill il seguente messaggio: “E’ mio dovere informarla che la campagna di Tunisi è terminata. Ogni forma di resistenza nemica è cessata. Noi controlliamo le spiagge del Nordafrica…”.

CENNI STORICI E CONTESTO

La campagna del Nordafrica, conosciuta anche come guerra nel deserto, fu combattuta in un teatro di guerra situato nel Nordafrica, in Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, in cui si confrontarono italiani e tedeschi da una parte, e gli Alleati dall’altra, durante la seconda guerra mondiale tra il 1940 e il 1943.

Il Regio Esercito, in Libia comandato dal maresciallo Rodolfo Graziani, forte numericamente ma insufficientemente equipaggiato, diede inizio alla campagna nell’estate 1940 entrando in Egitto ma nel dicembre seguente le forze britanniche del generale Archibald Wavell, modernamente armate e molto mobili, passarono alla controffensiva, sbaragliarono l’esercito italiano e occuparono l’intera Cirenaica. Benito Mussolini fu costretto a chiedere aiuto ad Adolf Hitler che, nel marzo 1941 inviò in Nordafrica il cosiddetto Afrikakorps guidato dal generale Erwin Rommel. Da quel momento le Panzer-Division dell’Afrikakorps svolsero un ruolo decisivo nella campagna per le forze dell’Asse; nella primavera 1941 il generale Rommel passò all’attacco e riconquistò la Cirenaica tranne Tobruch; dopo altri successi, le forze italo-tedesche furono però sconfitte nell’inverno dello stesso anno dalla nuova offensiva britannica, operazione Crusader, e ripiegarono nuovamente fino al confine della Tripolitania.

Il generale Rommel, dopo aver rafforzato la sua armata italo-tedesca, riprese presto l’iniziativa, respinse nuovamente i britannici nel gennaio e nel maggio del 1942 combatté e vinse la grande battaglia di Ain el-Gazala; i britannici dovettero ripiegare in profondità in Egitto; Tobruk fu conquistata e gli italo-tedeschi arrivarono fino a El Alamein dove il fronte si stabilizzò nell’agosto 1942. La campagna del Nordafrica ebbe una svolta decisiva nell’autunno successivo; i britannici del generale Bernard Montgomery vinsero la seconda battaglia di El Alamein costringendo i resti delle forze italo-tedesche del generale Rommel ad evacuare definitivamente tutta la Libia; Tripoli cadde il 23 gennaio 1943. Contemporaneamente un grande corpo di spedizione anglo-americano, al comando del generale Dwight Eisenhower, sbarcò in Marocco e Algeria a partire dall’8 novembre 1942, l’operazione Torch.

Dopo l’afflusso di altre truppe italo-tedesche in Tunisia che permise di fermare temporaneamente l’avanzata alleata da sud e da ovest, la situazione delle forze dell’Asse precipitò nella primavera 1943. Privi di adeguati rifornimenti ed in schiacciante inferiorità numerica e materiale, le residue forze italo-tedesche, passate al comando dei generali Giovanni Messe e Hans-Jürgen von Arnim, si arresero entro il 13 maggio 1943, mettendo fine alla campagna del Nordafrica.

Nelle sue direttive del 31 marzo 1940 Benito Mussolini aveva delineato in termini generali la strategia globale che avrebbe dovuto essere seguita dalle forze armate italiane nel caso sempre più probabile di un ingresso in guerra a fianco del Terzo Reich contro la Francia e la Gran Bretagna. Riguardo al teatro bellico nordafricano il Duce stabiliva che a causa della difficile situazione geografica della Libia teoricamente minacciata sia dall’Egitto britannico che dal Nordafrica francese, le forze italiane nella colonia, comandate dal governatore, maresciallo dell’aria Italo Balbo, avrebbero dovuto mantenersi sulla difensiva.

Le forze francesi in Marocco, Algeria e Tunisia del generale Charles Noguès ammontavano a otto divisioni mentre le truppe britanniche in Egitto erano calcolate dal servizio informazioni italiano in circa cinque divisioni; quindi dopo l’entrata in guerra del 10 giugno 1940 Mussolini confermò le sue direttive difensive. La situazione cambiò con la sconfitta della Francia e l’armistizio del 24 giugno 1940 a Villa Incisa; le colonie francesi vennero neutralizzate e il maresciallo Balbo poté concentrare la maggior parte delle sue forze sul confine libico-egiziano.

Le forze italiane in Libia del maresciallo Balbo apparivano sulla carta adeguate al teatro bellico coloniale; dalla fine degli anni trenta erano state inviate una serie di unità di fanteria destinate in realtà prevalentemente a compiti difensivi. In totale il 10 giugno 1940 erano presenti in Libia quattordici divisioni con 236.000 soldati, 1.427 cannoni, 339 carri armati leggeri L3, 8.039 automezzi; queste forze erano suddivise tra la 5ª Armata che al comando del generale Italo Gariboldi copriva il confine occidentale con sei divisioni di fanteria e due divisioni di camicie nere, e la 10ª Armata del generale Mario Berti che, con tre divisioni di fanteria, due divisioni libiche e una divisione di camicie nere, era schierata sul confine egiziano. La Regia Aeronautica disponeva in Libia di circa 250 aerei in maggioranza di modelli non molto moderni. Queste forze erano consistenti per numero, ma in realtà si trattava di reparti prevalentemente appiedati, privi di automezzi sufficienti, con gravi carenze di armamento soprattutto nei mezzi corazzati, poco addestrate alla guerra nel deserto.

Le truppe britanniche presenti sul confine egiziano all’inizio della guerra dipendevano dal Comando del Medio Oriente del generale Archibald Wavell ed erano molto meno numerose, due divisioni con 36.000 soldati in totale, ma, essendo completamente motorizzate e fornite di mezzi corazzati e meccanizzati idonei alla veloce guerra nel deserto, erano molto più mobili e si dimostrarono subito pericolose per i presidi fissi italiani. Il maresciallo Balbo rilevò la superiorità tattica e tecnica dei britannici e la segnalò al maresciallo Pietro Badoglio; tuttavia nonostante questi avvertimenti, il Comando Supremo a Roma ordinò il 28 giugno 1940 al governatore di raggruppare tutte le forze disponibili sul confine libico-egiziano ed invadere l’Egitto. Quello stesso giorno il maresciallo Balbo rimase ucciso nell’abbattimento per errore del suo aereo dall’artiglieria antiaerea italiana a Tobruk e Mussolini nominò al suo posto come comandante superiore in Libia, il cosiddetto “Superlibia”, il maresciallo Rodolfo Graziani, il capo di Stato maggiore dell’esercito, ritenuto un esperto di guerre coloniali.

Il nuovo Comandante in capo, giunto sul posto, non si mostrò disposto ad intraprendere subito l’offensiva in Egitto; egli lamentò le carenze logistiche e tecniche delle sue forze e le difficoltà del clima e del terreno e rinviò ripetutamente il previsto attacco. Mussolini tuttavia continuò a sollecitare l’invasione dell’Egitto; il Duce affermava che le forze disponibili erano adeguate, che i britannici erano deboli e che per motivi di alta politica era indispensabile raggiungere qualche successo in Nordafrica per ottenere, in caso di rapida vittoria totale dell’Asse, gli obiettivi strategici dell’Italia.

Il Duce, dopo un colloquio infruttuoso a Roma con il maresciallo, il 19 agosto inviò un ordine tassativo in cui intimava al governatore di attaccare o dimettersi. Mussolini inoltre in questa fase non si mostrò interessato, sulla base della sua scelta politica fondamentale di condurre una «guerra parallela» e autonoma rispetto al Terzo Reich, all’intervento di moderne forze meccanizzate tedesche come era stato proposto da Adolf Hitler e dallo stato maggiore della Wehrmacht, dubbiosi sulla reale capacità degli italiani di sconfiggere i britannici.

In realtà nei mesi di giugno e luglio 1940 i dirigenti politico-militari britannici erano molto preoccupati per la situazione nel Mar Mediterraneo; furono studiati anche piani per evacuare il Mediterraneo orientale e trasferire per la rotta del Capo le navi della Royal Navy a Gibilterra; si temeva un’invasione italiana dell’Egitto con grandi forze.

Fu soprattutto il Primo Ministro Winston Churchill che si oppose fermamente a questi propositi pessimistici; egli invece sollecitò il raggruppamento di tutte le forze disponibili nel teatro del Medio Oriente e dell’Africa e giunse al punto di prevedere l’invio di rinforzi dalla metropoli nonostante che la Gran Bretagna fosse in quel periodo minacciata da un’invasione tedesca.

GLI EROI

I ragazzi della Folgore vivono in buca. La bella uniforme perde ogni suo colore. Crescono le barbe.

Un giorno sloggiano le truppe britanniche di colore da  una posizione importante. Tonnellate di munizioni vengono catturate, con viveri, vestiari ed impermeabili di gomma. E’ in questo momento che ROMMEL dice al Col. BECHI (indicando a dito i più barbuti ragazzi della Folgore) : “Con simile gente si va in capo al mondo. Occorrerà frenarli, anziché sospingerli in battaglia“.

La depressione di EL QATTARA è una fossa torrida, sita a 50 metri sotto il livello del mare e l’acqua stagnante emana miasmi febbrili. Non vi è un “Folgorino“ che non sia febbricitante, ma nessuno brontola. Generosi ed intelligenti, si rendono conto delle difficoltà d’ogni genere che occorre superare. Si apprestano a soffrire la fame con eleganza e dignità. Il Col. BECHI sottolinea: “me li vedo deperire senza un lamento, né un brontolio, e mi si stringe il cuore nello scorgere le giacchette già stinte che pendono flosce sui toraci smagriti“.

*Ex alto fulgor-* Come folgore dal cielo

*da un frate che così salutava il Comandante del IV° Btg

7 novembre- Scendono da una vettura tre prigionieri italiani, un generale e due colonnelli. Portano l’uniforme della “Folgore”: sono Frattini, comandante, Bignami il vice e Boffa comandante dell’artiglieria. “.Lei è il comandante della Folgore? Un generale inglese desidera salutarla”. Così si presenta il generale Hugues, della 44a, la divisione che nell’attacco alla “Folgore” ha subito lo smacco principale. I tre italiani e l’inglese, ritti e impalati, si salutano. L’inglese accenna a tendere la mano ma: Frattini è immobile. La mano inglese si ritrae.”Si era sparsa la voce” dice Hugues “che il comandante della “Folgore” fosse caduto. Ho saputo che non è vero e voglio dire che sono contento.” Grazie” Rispose Frattini. “Volevo anche dire che nella mia lunga vita militare mai avevo incontrato soldati come quelli della Folgore.” 

Corelli Barnett, storico inglese: “Considerata l’immensa disparità di forze tra le opposte armate, quel che sorprende non è il fatto che vincessimo la battaglia, ma che fossimo sul punto di perderla”.  

Aurelio Rossi

Fra i caduti Il Maggiore Aurelio Rossi, già Ufficiale dei Bersaglieri nella Grande Guerra, volontario e pluridecorato, che comandava il IX btg. del 187° rgt. “FOLGORE” nella “corsa dei sei giorni” di fine agosto

Rossi non era l’unico bersagliere nella storia dei paracadutisti. Un altro ufficiale ( VIII guastatori) era il T. Col Giulio Burzi e prima di lui il comandante della scuola Giuseppe Baudoin de Gillette e il capo dell’Uff. Addestramento il Magg. Giovanni Verando. 

Il IX°(187) battaglione del maggiore Aurelio Rossi e il X° del maggiore Amleto Carugno conquistarono Quota 101 di Deir Alinda. Al momento dell’assalto si udì il suono di una tromba . Il maggiore Rossi aveva ordinato al suo trombettiere, Scotti (di Monza), di suonare la carica. Rossi aveva allora 44 anni. A 20, da giovane tenente, ufficiale dei bersaglieri arditi sul Piave, fu tre volte ferito e tre volte decorato al valore. Volontario in Abissinia aveva guadagnato altre due medaglie al valor militare. Il generale Frattini disse al colonnello Camosso, da cui dipendeva il battaglione di Rossi, di frenarne l’impeto. Il maggiore Rossi cadde da eroe, meritandosi la medaglia d’oro al valor militare, con la seguente motivazione: 

Ufficiale di complemento quattro volte ferito, mutilato di guerra, già cinque volte decorato al Valore Militare, accorreva volontario fra i Paracadutisti affascinato dal miraggio di potersi meglio offrire all’audacia ed al rischio. Distintosi in numerosi combattimenti per coraggio e sprezzo del pericolo, sosteneva in critica situazione un violento attacco di reparti corazzati, stroncandolo ed infliggendo all’avversario gravi perdite di uomini e mezzi. Posto quindi a presidio di una postazione divenuta l’obiettivo centrale dell’offensiva avversaria, resisteva con tenace fermezza, sempre presente fra i suoi uomini nei punti più esposti, a violentissimi reiterati attacchi che rintuzzava con audaci contrattacchi. Ferito gravemente rifiutava di lasciare il comando del battaglione e indomito persisteva nella cruenta impari lotta. Colpito mortalmente pronunciava fiere parole animatrici per i suoi soldati ed immolava con sublime eroismo la sua vita educata al più puro amore di Patria e alla sacra religione del Dovere. Africa Settentrionale 20 Agosto – 3 Settembre 1942

La fine della Divisione ARIETE

L’ultimo messaggio giunto al Comando di armata:

“Carri armati nemici fatta irruzione a sud di “Ariete” con ciò “Ariete” accerchiata. Trovasi circa 5 km nord-est Bir el-Abd.

Carri “Ariete” combattono”.

Rommel il mattino del 4 al Gen. Arena (C.te l’Ariete), (che gli faceva presente la nostra purtroppo scarsa efficienza visti i mezzi ridicoli) “Generale, conosco la vostra divisione meglio di voi, l’Ariete ha ancora delle possibilità, fermerà per un giorno gli inglesi”: e così fu.…

Dei bersaglieri del “Settimo” e dell’“Ottavo”, scrisse il Conte Paolo Caccia Dominioni “. . . Ridotti a pochi nuclei sfiniti, carristi e bersaglieri della “Littorio” e dell’“Ariete” tentavano gli ultimi disperati contrattacchi e, accerchiati, comunicavano per radio che avrebbero continuato a resistere”.

………….si deve, ripeto si deve, tenere ad ogni costo.

Paracadutisti della 6° compagnia con al centro  il ten. M.O.V.M.  F. BRANDI
S.E. Generale di Corpo d’Armata Ferruccio Brandi MOVM

Alla MOVM Ferruccio Brandi il Comandante della Brigata Lorenzo D’Addario:

El Alamein 23 ottobre 1942: il ten. Di Gennaro chiede l’onore al magg. Izzo di partecipare con i suoi artieri paracadutisti al contrassalto di Naqb Rala  (disegno del ten. col . Paolo Caccia Dominioni già Comandante del 31° Btg. guastatori d’Africa)

60 anni dopo il ten. Di Gennaro, ora Presidente della sez. A.N.P.d’I. di Civitavecchia, dona la Bandiera italiana, nel Sacrario di El Alamein, al Presidente della Repubblica : C.A. CIAMPI.

………………..Riorganizzati i decimati residui delle sue compagnie il Comandante del VII battaglione, Carlo Mautino, ordinò al trombettiere di suonare la carica e un risoluto contrattacco fece ripiegare in disordine gli avversari ristabilendo la situazione.

Africa settentrionale 1941

9° Reggimento Bersaglieri

Bersagliere Caporale Aurelio Zamboni Medaglia d’Oro al Valor Militare

Bersagliere Aurelio Zamboni

Riportiamo in sunto quanto disse di lui il Maggiore dei Bersaglieri Mario de Micco dalla zona operativa nel marzo 42 e pubblicato in occasione dello scoprimento del monumento a sua gloria in Berra Copparo:

L’alba del 19 Novembre 1941 si preannuncia infuocata. Il nemico ha il vantaggio della superiorità , dell’iniziativa, della quantità di armi ed armati che può gettare nella battaglia. I Bersaglieri del 9° Reggimento li comanda  il Colonnello Bordoni più volte ferito e super decorato. Il sacrificio del 9° inizia presto e ad un certo punto sembra arrestare l’onda avversaria. Ma questa riprende più pesante e instancabile. Ci si ritira su quota 208-211 di Sidi Breighisc. Da questa quota sarà forse più facile controllarlo e dominarlo.

La lotta va avanti per giorni fra alterne pause e vicende, mentre nel deserto si consuma la vicenda di Bir El Gobi. Tempeste di sabbia alternano i riposi con gli scontri. Aurelio Zamboni, caporale mitragliere, in quei giorni dal 12 al 15 di dicembre si avvinghia alla sua arma che è diventata rovente.  “ chi l’impugna più non vive di vita mortale, ma sembra assurto nella sfera dell’ideale.

E’ uno spirito che combatte, non è un uomo. Egli già  più non vive di vita terrena…” I vuoti che si aprono fra le fila inglesi richiamano su di lui la massima concentrazione di mezzi e avversari. La piazzola viene tempestata dai mortai e dalla sua fronte scende un rivoletto vermiglio. Rifiuta il soccorso dei compagni e continua ad imbracciare l’arma “va via adesso ho da fare” dice e continua a sparare. Ma il tiro dei mortai si corregge piano, piano e ad un tratto “ uno schianto terribile, una vampata. “Una granata ha colpito in pieno la postazione…groviglio di corpi orribilmente straziati”  Da sotto una voce “coraggio ragazzi i Bersaglieri del 9° non hanno mai tremato…… “Taglia qui.”

Quel taglia qui che porge ad un infermiere è quanto resta del suo braccio appena trattenuto da un lembo di carne. Mentre si accende una sigaretta e all’impallidito chirurgo che si appresta al taglio dice “ Mi da fastidio”.

Zamboni non è ferito solo al braccio ha anche un ginocchio maciullato. Scosta l’allibito l’infermiere “pensa a curare gli altri che sono più gravi”. Gli inglesi desistono, si sono fermati. Zamboni finisce la sua sigaretta  mentre i compagni al grido “Savoia” escono dalla Trincea.

Non c’è più tempo per frenare l’emorragia al ginocchio. “.. Sul suo volto una smorfia che è uno spasimo dello spirito per il destino crudele che lo inchioda al terreno, mentre la vita che gli sfugge lo porterebbe ancora nel furore del combattimento. Si erge a stento sul busto…cerca un’arma che non trova….. solo il suo moncherino è li discosto…lo afferra e lo lancia – Non ho bombe – dice – ma ecco la mia carne e che vi possa arrecar danno. Viva il 9°”.

Sidi el Breghis, Quota 211, 12/15 anno 1941. 

Il padre in una lettera al capo di gabinetto del Min.di Guerra:

Mi sento profondamente commosso per la superba motivazione dedicata al mio Aurelio. Ringrazio voi per tutto ciò che avete fatto e vorrete fare per onorare la memoria del mio caro………sono fieramente orgoglioso che egli sia caduto da eroe: avrei invece il cuore straziato se l’avessi saputo un vile. Viva il Re

Pomeriggio afoso di dicembre, molesto più che mai, per i vortici di sabbia che il vento solleva. La linea è tutta una perfetta amalgama di cuori, acciaio e fuoco, barriera insormontabile e compatta contro cui il più forte numero, la corazza e la tenace insistenza di quei mercenari assetati di sangue si dovranno infrangere inesorabilmente.

Da ore una mitragliatrice pesante “Breda”, rovente come il cuore di chi la impugna, continua, più delle altre, a vomitare fuoco, a sgranare briciole di morte. Il Caporale Zamboni, figlio generoso della forte terra di Ferrara, tenacemente avvinto alla sua arma, incurante delle pallottole che radono il ciglio della postazione battuta dal nemico, è instancabile nel farla cantare e quella melodia di morte da molto fastidio alle feroci orde nemiche che tentano invano di spegnerla vomitando su di essa torrenti di fuoco.

Tanto è la foga con cui Zamboni “picchia”, che nessuno può pensare che egli sia ferito: un rivo rubino irrora la sua fronte limpida ed ogni tanto egli abbassa la testa per asciugare col braccio la ferita senza staccare il pugno dalla testata. se ne accorge il porta munizioni che gli manda l’infermiere per medicarlo, ma un violento spintone che lo fa ruzzolare a terra è la risposta di Zamboni. “Va via – dice secco – che adesso ho da fare”. E continua a sparare.

Nel frattempo, visti inutili i tentativi di sopraffare quell’arma terribile col fuoco delle sue mitragliatrici, il nemico incomincia a tempestare la piazzola con i mortai e le artiglierie. I primi colpi cadono intorno quasi senza efficacia, mentre la “Breda” rossa, fumante continua imperterrita a cantare seminando morte. D’un tratto un sordo schianto terribile. – Una vampata. – Qualche lamento. Una granata ha colpito in pieno la postazione e le adiacenze del camminamento che portano ad essa. Un ammasso umano informe con qualche lieve sintomo di vita.

Sei figli di Lamarmora giacciono esanimi con le carni orribilmente straziate; altri sette gravemente colpiti emettono lamenti flebili. Non sono trascorsi due minuti forse e sono appena giunti alcuni bersaglieri per dar soccorso ai feriti, che, di tra i corpi senza vita, superbamente bello nello spirito, sorge Zamboni intriso di sangue gridando: “Coraggio ragazzi! I bersaglieri del 9° non hanno mai paura!”. Lo si crede miracolosamente illeso, ma la realtà è ben diversa.

“Taglia qui” dice con voce calma ed imperiosa all’infermiere mostrandogli il braccio destro penzoloni appena sostenuto da un lembo di carne “mi da fastidio”. E deve incutere coraggio a quel chirurgo improvvisato che, titubante, con un temperino si accinge a recidergli il braccio. “Accendi una sigaretta e dammela – gli chiede dopo, e poiché l’infermiere si appresta a curargli anche una gravissima ferita ad un ginocchio orribilmente maciullato e dal quale sgorga copioso sangue, aggiunge: “Pensa a curare gli altri che son più gravi”.

Disteso accanto ai corpi dei camerati caduti continua a fumare pronunziando alte parole di fede e di incoraggiamento per coloro che si lamentano per lo strazio delle carni ferite. Intanto sulla linea la battaglia, violenta, continua. – Il nemico superiore in numero e mezzi preme senza ottenere successi. – Il fuoco è ancora nutritissimo ed intorno continuano ad esplodere proiettili di ogni arma e calibro.

Un porta feriti, dopo che gli altri sono stati medicati, torna presso Zamboni ed alla meglio gli lega la gamba per arginare il sangue, proprio nel momento in cui dalle postazioni, impetuosa, una ondata travolgente di fluttuanti piume balza all’assalto. Il grido di “Savoia” riaccende sul suo volto un lampo di indomita energia ed imprecando contro la sorte maligna che lo tiene inchiodato, si erige a stento sul busto seguendo con l’anima i camerati lanciati verso la vittoria.

Poi d’un tratto si guarda intorno cercando istintivamente, con il cuore in gola, un’arma, una bomba. – Invano – Gli occhi cadono sul suo braccio amputatogli poco prima che giace sulla terra intrisa di sangue e con un’energia misteriosa riesce a carpirlo ed a lanciarlo con violenza verso il nemico gridando: “Non ho bombe o vigliacchi, ma ecco la mia carne e che vi possa arrecare danno! Viva il 9° Bersaglieri”.

Bersaglieri dei Reparti d’Assalto in Nordafrica

Sempre in prima linea, anzi davanti la prima linea, la zona denominata striscia di sicurezza ed allarme.

I piumati aprono il fuoco con le pesanti Breda e Cannoncini controcarro 47/32.

Atti di eroismo continui.

…..In una infermeria da campo, dentro una tenda, giungono decine di feriti gravi, gli Ufficiali medici e gli infermieri fanno ciò che possono……..Vedono un ferito con il ventre squarciato che si regge le interiora con le mani per non farle uscire.

E’ perfettamente calmo, sereno, un Tenente medico gli si avvicina per tentare di curarlo, lo riconosce…è il Maggiore Achille Motta Comandante di Battaglione d’Assalto dei Bersaglieri.

Motta dice al Tenente, sono un soldato è so che devo morire…….pensa a curare gli altri che si possono salvare……spirerà poco dopo, verrà sepolto poco distante e sulla lapide verranno appesi i gradi di Tenente Colonnello (era stato promosso al grado superiore) giunti in precedenza e a sua insaputa.

Bersaglieri d’assalto

Dei Bersaglieri e dei Carristi, la M.A.V.M.  Paolo Caccia Dominioni (Conte di Sillavengo Col. Comandante il 31 Genio Guastatori ad El Alamein) scrisse “.. Ridotti a pochi nuclei sfiniti, Carristi e Bersaglieri della “Littorio” e dell’“Ariete” tentavano gli ultimi disperati contrattacchi e, accerchiati, comunicavano per radio che avrebbero continuato a resistere”.

Centinaia di croci piumate, disseminate nel desertico scacchiere nord-africano ci ricordano quei ragazzi che corsero nel vento, che cantarono disperati il loro destino con voce impastata di sole e di giovinezza. Per quei ragazzi che si spensero di corsa e che oggi riposano negl’incantati giardini del silenzio, sia il nostro pensiero come una carezza dolce che accompagni la loro magica e struggente solitudine.

Bersaglieri d’assalto

David Stefano, decorato con Medaglia d’Oro al Valore Militare.

Caduto in Tunisia.

David Stefano

“Dopo trenta mesi di dura lotta, durante un aspro attacco nemico soverchiato da preponderanti forze, rifiutava più volte di arrendersi, finché unico superstite di un posto avanzato, stordito e gravemente ferito veniva raccolto dal nemico che pensava di servirsene come schermo per penetrare di sorpresa in un nostro caposaldo. Nella notte lunare veniva condotto presso le nostre postazioni con l’arma puntata alla schiena. Accortosi che i commilitoni gli andavano incontro giubilanti per aiutarlo, non esitava a gridare ad alta voce: “Seconda Compagnia fuoco! Sono nemici”. Pagava così consapevolmente con la vita la sua sublime incomparabile dedizione alla Patria

Quota 141 di Diez Srafi (Tunisia), 25 Aprile 1943.”

Comandante Giuseppe Izzo

Generale Giuseppe Izzo

Giuseppe Izzo nacque a Presicce, in provincia di Lecce, nel 1904 da Maria Adamo, ultima erede di un’antica famiglia presente in Presicce almeno dal 1500, e dall’Avv. Raffaele Izzo originario della penisola sorrentina.

Iniziò la carriera militare come allievo della Scuola Militare Nunziatella negli anni 1919/1922 seguendo, in tale istituto di formazione, i fratelli Gaspare e Riccardo; dopo l’arruolamento, nel 1923, come ufficiale di complemento, fu ammesso, nel 1924, a frequentare i corsi all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena (III Corso) dalla quale uscì, nel 1927, con il grado di tenente di fanteria e fu assegnato al 6° rgt di stanza a Palermo. Frequentò poi il 7º corso di osservazione aerea a Grottaglie e nel 1930 fu brevettato osservatore di aeroplano; alternò quindi periodi al reggimento con altri presso squadriglie di osservazione, durante i quali effettuò il primo lancio con il paracadute e riportò la prima ferita in servizio a seguito di un grave incidente d’aereo. Su segnalazione del comandante di reggimento fu selezionato per partecipare ai corsi della scuola di guerra durante i quali fu promosso a scelta capitano.

Con tale grado, compì l’esperimento di stato maggiore al Comando della Divisione “Piave” e dopo assegnazioni a vari comandi partecipò come Volontario alla guerra di Spagna a fianco dei Franchisti durante la quale fu decorato di alcune onorificenze spagnole.

Rientrato in Italia, allo scoppio della seconda guerra mondiale partecipò alle operazioni in Albania e Jugoslavia con incarichi di stato maggiore e di componente la commissione istituita per la definizione dei confini tra i due paesi. Promosso maggiore nel 1941, chiese ed ottenne di essere assegnato alla nuova specialità dei paracadutisti e frequentò i relativi corsi a Tarquinia sperimentando anche nuove tecniche di lancio con armi individuali.

Assegnato alla neocostituita 185ª Divisione paracadutisti “Folgore”, ne seguì le sorti in Africa Settentrionale durante l’intero ciclo operativo che si concluse con le due battaglie di El Alamein (luglio – novembre 1942). Durante l’ultima di queste, con il grado di Tenente Colonnello al comando del V battaglione presidiò l’estremo lembo del fronte italo-tedesco, arginando vittoriosamente, nella notte del 23-24 ottobre, il tentativo di aggiramento a sud effettuato dagli alleati. Gravemente ferito nel combattimento fu fortunosamente trasportato presso il comando di divisione e poi rimpatriato in Italia. Per l’eroismo dimostrato in tale occasione, pur proposto dal Comandante della Divisione per la maggior ricompensa al Valor Militare, fu decorato, nel 1947, con la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

All’atto dell’armistizio, ancora convalescente, si presentò spontaneamente al Comando Italiano di Brindisi e fu assegnato prima agli uffici dello Stato maggiore dell’Esercito e poco dopo presso un Comando inglese. Incaricato di riorganizzare la Divisione paracadutisti “Nembo”, di stanza in Sardegna, dopo i disordini che l’avevano attraversata alla notizia dell’armistizio, ne fu nominato Capo di Stato Maggiore. In tale incarico, alternato al comando di reparti operativi della stessa Divisione, partecipò all’intero ciclo operativo della Grande Unità nella Guerra di Liberazione ed ai combattimenti di Cassino, Orsogna, Chieti e Filottrano nel 1944.

Sciolta la Divisione e transitatene i residui reparti, come reggimento Nembo (183°), nel Gruppo di Combattimento Folgore ne ricoprì temporaneamente il comando, per poi ottenere il comando del II Battaglione paracadutisti che guidò nei combattimenti di Tossignano, Santerno e Grizzano; durante tale ultima battaglia si scontrò e vinse i “Diavoli Verdi” del I Reggimento Paracadutisti tedesco, aprendo alle truppe alleate la strada per la liberazione di Bologna; anche in tale combattimento fu gravemente ferito.

Per lo straordinario eroismo dimostrato in combattimento, venne decorato sul campo a Grizzano dal Comando americano con la “Distinguished Service Cross” per notevole contributo fornito alla vittoria delle armi alleate e, subito dopo, con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Nel dopoguerra ricostruì il Centro Militare di Paracadutismo dislocato a Viterbo divenendone il primo comandante; nel 1950, nominato colonnello, comandò il 6º Reggimento fanteria “Aosta” a Palermo. Comandò poi il Distretto militare di Como. In seguito passò al Quartier generale italiano delle forze Sud-Europa della NATO come Capo del Reparto Operazioni; frequentò poi il Nato Defense College a Parigi e la Scuola di Guerra Aerea a Firenze ed ebbe il Comando della Zona Militare di Novara. Nel 1958 ha ricevuto il grado di generale di brigata e nel 1960 è stato collocato “in ausiliaria”.

Promosso Generale di Divisione fu poi posto in congedo per limiti di età.

Cessato dal servizio attivo si dedicò, tra l’altro, alla gestione della antica azienda agricola di famiglia.

È stato dal 1967 al 1973 Presidente dell’Associazione ex Allievi della Scuola Militare Nunziatella

Ha scritto un libro sulla sua esperienza delle battaglie in Africa con Paolo Caccia Dominioni (Tafkir, Cronaca dell’ultima battaglia di El Alamein).

Izzo è morto a Roma, all’Ospedale militare del Celio presso cui era in cura, il 19 maggio 1983 ed è sepolto a Presicce nella cappella di famiglia.

Decorazioni

 Medaglia d’oro al valor militare

 «Comandante di un battaglione di paracadutisti, ricevuto l’ordine di conquistare una formidabile posizione avversaria, chiave di tutto il sistema difensivo nemico sul fronte di Bologna e mantenuta dalle migliori truppe, ben conscio del sacrificio al quale andava incontro, decisamente l’attaccava alla testa dei suoi uomini. Dopo un furioso corpo a corpo riusciva ad occuparla e a mantenerla, nonostante cinque furiosi contrattacchi del tedesco che era deciso a riconquistarla a qualunque prezzo. Nella lotta senza quartiere, da comandante si tramutò in semplice paracadutista ed imbracciato il mitra, senza un riparo, una difesa, in piedi sparò fino a che una raffica nemica da pochi metri non gli fece saltare l’arma di mano mutilandolo gravemente. Ma non abbandonò il combattimento, rimase in testa ai suoi che, nell’esempio luminoso del comandante, trovarono la disperata energia per la vittoria, che segnò la pagina più bella dei paracadutisti del “Nembo” e che riconfermò il valore del soldato d’Italia. Magnifica figura di comandante e di soldato, così esaltata anche dal Comando Alleato: “… lo straordinario eroismo in combattimento del tenente colonnello Izzo, ha costituito un importante fattore della disfatta del nemico ed ha contribuito al successo finale del 15º Gruppo Armate in Italia”.»

— Grizzano (BO) 19 aprile 1945.

 Medaglia d’argento al valor militare

 «Comandante di battaglione in situazione particolarmente delicata con fermezza e serenità si portava oltre le linee per individuare le più probabili direzioni di attacco nemico. Sviluppatasi violenta l’offensiva avversaria si poneva alla testa dell’esiguo rincalzo e controassaltava con indomito valore lottando strenuamente a colpi di bombe a mano. Gravemente ferito rimaneva al suo posto di dovere sino al termine dell’azione vittoriosa.»

— El Himeimat – Naqb Rala 24 ottobre 1942

Tenente Colonnello Paracadutista Alberto Bechi

Tenente Colonnello Giovanni Alberto Bechi Luserna

Il Tenente Colonnello Alberto Bechi Luserna, valoroso ufficiale, Capo di Stato Maggiore della divisione paracadutisti “Nembo”,  morì in Sardegna a Macomer, il 9 settembre 1943 . Figlio di Giulio Bechi, anch’egli ufficiale e scrittore, e di Albertina Luserna dei conti di Campiglione e Luserna, apparteneva a famiglia tosco-piemontese di tradizione militare.

Dopo aver frequentato la Nunziatella a Napoli e l’Accademia Militare di Modena, fu assegnato all’Arma di Cavalleria. Partecipò alle guerre coloniali in Libia e in Etiopia. Per il servizio in Cirenaica al comando di uno squadrone di Savari, ricevette due medaglie di bronzo al valor militare, nel 1929 e nel 1930; una terza ne ottenne nel 1935 in Africa Orientale, dove ebbe il comando di una banda irregolare a cavallo.

Considerato uno degli ufficiali più brillanti del Regio Esercito, richiamò l’attenzione del ministro degli esteri Galeazzo Ciano, del cui ambiente entrò a far parte anche grazie ai legami di parentela della moglie diciannovenne, Paola dei conti Antonelli (la famiglia del famoso cardinale Giacomo Antonelli) con un ramo della famiglia Colonna. In questo periodo fu concessa l’aggiunzione del cognome Luserna, della nobile famiglia materna.

Ricevette quindi l’incarico di addetto militare a Londra, e, nel 1940, di direttore dell’Ufficio Finlandia (paese allora in guerra con l’Unione Sovietica, al quale l’Italia inviava segretamente materiale bellico) al ministero degli esteri.

Durante la seconda guerra mondiale, dopo un breve periodo al Servizio Informazioni Militare, chiese il passaggio alla nuova specialità dei paracadutisti. Al comando del IV Battaglione Paracadutisti della Divisione “Folgore” (il battaglione più scelto, da lui formato e addestrato, dove ebbe come comandanti di compagnia Guido Visconti di Modrone e Costantino Ruspoli di Poggio Suasa) raggiunse l’Africa settentrionale, Il 15 luglio del 1942 ed in ottobre, come comandante interinale del 187º Reggimento paracadutisti “Folgore”, condusse la difesa del settore settentrionale della divisione durante la battaglia di El Alamein, per cui ricevette una quarta medaglia di bronzo.

L’8 settembre 1943 la Nembo era di stanza in Campidano, a circa quaranta chilometri da Cagliari. La notizia dell’armistizio di Cassibile fu accolta negativamente da molti paracadutisti; in particolare, il XII battaglione (comandato dal Maggiore Mario Rizzatti), insieme ad una batteria del 184º Artiglieria, decise di unirsi ai tedeschi della 90ª Divisione Panzergrenadier, che si stavano ritirando verso la Corsica. Il generale Ercole Ronco, comandante la Divisione, cercò di richiamare all’ordine il reparto, ma senza risultato; anzi, secondo la Relazione Ufficiale, fu temporaneamente posto agli arresti dagli ammutinati.

Nel tentativo di indurre il battaglione, in ritirata sulla Carlo Felice, a recedere dalla scelta compiuta, il colonnello Bechi Luserna riuscì a raggiungerlo nella zona di Castigadu, alle porte di Macomer. Lì venne fermato da un posto di blocco stradale istituito al bivio di Borore da un distaccamento del reparto ammutinato agli ordini del capitano Corrado Alvino. Al culmine di un violento alterco verbale per reclamare il passaggio, il Colonnello venne ucciso, assieme ad uno dei Carabinieri della scorta, da una raffica del fucile mitragliatore a presidio del blocco, sparata dal paracadutista Cosimo. Il secondo carabiniere della scorta rimase ferito, e successivamente si aggregò al XII Battaglione. Il suo corpo, chiuso in un sacco, fu caricato su un camion e successivamente, dopo il rifiuto dei frati di un convento di farsi carico della salma, fu poi gettata in mare a Santa Teresa Gallura nelle Bocche di Bonifacio il 10 settembre 1943.

 Il colonnello si può considerare uno dei primi morti dello scontro fratricida fra italiani che insanguinerà il nostro paese fino all’epilogo del secondo conflitto mondiale. Sulla sinistra della vecchia Carlo Felice, prima della salita per Macomer e davanti alla zona industriale, un monumento semicircolare di pietra lavica, mattoni cotti e trachite, delimitato da due obici, è stato eretto a perenne memoria dell’eroico ufficiale. Sulle due lapidi del monumento posto in località Castigadu è scritto: “Qui, per obbedire alle leggi della Patria, per l’onore della Nembo, cadde il tenente colonnello Alberto Bechi Luserna è intitolata la caserma di Macomer che ha ospitato il 45º Reggimento Fanteria “Reggio” ed attualmente il 5º Reggimento Genio Guastatori. Un’altra caserma porta il suo nome a Pisa (sede del Reggimento Logistico Folgore), dove è anche presente un busto lapideo a grandezza naturale a lui dedicato”.

Lascio un capitolo volutamente aperto per invogliarvi nuovamente a leggere di questi Eroi dei quali avete compreso, approfondito, visto le loro immagini e spero compreso le loro valorose gesta e quanti giovani vite spezzate in quel teatro di guerra. Sabbia del deserto macchiata dal sangue, un colore rosso che è rimasto indelebile nel tempo e che non rimarrà sempre impresso dove è stato versato anche se sono passati molti anni.

Non più guerra, ma pace, sorrisi, serenità, condivisione, ringraziamento a tutti i livelli gerarchici che hanno espresso sul campo il loro valore senza distinzione di grado, ma ognuno con le sue specifiche competenze.

A Voi giovani mi rivolgo, ho appena 58 anni e sono assetato di Storia da sempre per poter essere un mezzo di divulgazione in rete affinché si possano approfondire certi argomenti che nelle aule non vengo più trattati, a mio parere, in modo adeguato; stimolate la vostra curiosità cercando di comprendere le origini del nostro Paese e che ha combattuto per renderlo libero e comprenderete il rispetto che dovrete avere di ogni pietra che calpestate nelle vostre città, perché sotto l’asfalto moderno ed ancora più sotto, esiste un sottosuolo che racconta l’evoluzione che la nostra terra ha avuto nei millenni.

Visitate la città di Roma come tante altre città storiche del nostro paese e soffermatevi a guardare la maestosità di certi ruderi intatti nel tempo; millenni che li hanno anneriti ed erosi nel tempo ma che si ergono ancora nella loro maestosità

Immaginate cosa su quelle strade è passato sin dai tempi dell’antica Roma e sino alla storia contemporanea, Quanti piedi, quante ruote, quante persone sono transitate. E quanti bombardamenti, quante distruzioni e ricostruzioni; la forza di rialzarsi quando tutto è perduto. Prendete esempio da questi Eroi e rispettate gli anziani, lo ripeto sempre, sono l’ultima memoria storica che ci è rimasta e che rimarrà per le future generazioni nei vari cicli che seguiranno.

Immaginiamo un progresso che porti ad una nova era; l’era di un confronto aperto, sereno, una convivenza civile recuperando questi valori che sono rimasti in un terreno inaridito ed indurito nel tempo.

Viviamo intensamente ogni istante della nostra vita e soffermiamoci guardandoci intorno, potrebbe risultare banale dire che “la speranza è l’ultima a morire” ma io voglio ancora crederci e ho deciso di rimettermi in pista professionalmente in questo nuovo “match” con la vita, scommettendo su me stesso e se dovessi perdere, pazienza, metterò passerò al “secondo set” e magari al terzo, quarto e quinto fino a decretare “gioco, partita incontro”

Tornate a visitare questo Blog al prossimo episodio.

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