EROI SENZA MEMORIA – I CAPPELLANI MILITARI. I cappellani militari, o “soldati di Dio” come qualcuno li ebbe a definire, furono a tutti gli effetti tra le figure più importanti e significative della Grande Guerra. I soldati trovavano nel proprio cappellano un prezioso confidente, un ponte tra l’orrore della guerra e i ricordi della propria terra o della propria famiglia; una speranza tra la violenza e la morte.
Vediamo l’ordinariato militare e la figura del Cappellano Militare reperito dal sito Aree Tematiche della Camera Dei Deputati di cui cito alcuni tratti:
“Con l’entrata in vigore della Costituzione e del suo articolo 7, i rapporti tra Stato e Santa Sede vengono regolati attraverso accordi che prevedono procedimenti di revisione bilaterale senza necessità di revisioni costituzionali.
È questo il caso dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa sede del 18 febbraio 1984 che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede (legge 25 marzo 1985, n. 121).
Ai sensi del comma 2 dell’articolo 11 del citato Accordo l’assistenza spirituale al personale delle Forze armate è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell’autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabiliti d’intesa fra tali autorità.
Ai sensi dell’articolo 1533 del Codice dell’ordinamento militare l’alta direzione del servizio di assistenza spirituale è devoluta all’Ordinario militare per l’Italia, il quale è coadiuvato dal Vicario generale militare e da tre ispettori che fanno parte della sua Curia.
L’Ordinario militare e il Vicario generale militare sono assimilati di rango, rispettivamente, al grado di generale di corpo d’armata e di maggiore generale. Gli ispettori sono assimilati di rango al grado di brigadiere generale”.
Riporto alcune importanti testimonianze reperite sul sito di Rai Cultura e che vado a citare:
“Grazie alla figura del cappellano, il soldato poteva sentirsi al riparo dai turbamenti che la guerra procurava. Il richiamo alla dimensione religiosa era spesso in grado di attenuare o perfino annullare i sentimenti negativi.
I soldati trovavano nel proprio cappellano un prezioso confidente, un ponte tra l’orrore della guerra e i ricordi della propria terra o della propria famiglia; una speranza tra la violenza e la morte. Grazie alla figura del cappellano, il soldato poteva sentirsi al riparo dai turbamenti che la guerra procurava.
descrive la difficile partecipazione alla guerra dei 24.000 ecclesiastici che prestano servizio nell’esercito. La maggior parte di costoro sono inquadrati nel servizio sanitario o in unità combattenti. Solo una piccola minoranza riceve l’incarico di cappellano militare, figura equiparata a quella dell’ufficiale, con il compito di sostenere il morale della truppa, prestargli assistenza religiosa e, almeno nelle intenzioni, risvegliarne lo spirito religioso inteso come disponibilità al sacrificio e senso del dovere. Se queste sono le direttive del vescovo di campo per i 2000 cappellani militari, molto diverso è il tradizionale insegnamento della chiesa e in particolare del Papa che, per tutta la durata del conflitto, continua ad invocare la pace.
Dallo studio della psicologia dei soldati condotto durante la guerra dall’ufficiale medico e sacerdote Agostino Gemelli nascono le osservazioni qui riportate. Senza dare molta importanza alle manifestazioni esteriori di religiosità, spesso puramente superstiziose, che si moltiplicano sui campi di battaglia, Gemelli rivendica invece l’autentica funzione consolatrice della religione per i feriti e i moribondi.
da: Agostino Gemelli, Il nostro soldato, Saggi di psicologia militare Milano, 1917
pp. 132-137
Ora io ritengo che alle manifestazioni religiose pubbliche delle quali abbiamo avuto così numerosi esempi al fronte non bisogna dar un valore e un’importanza maggiore di quella che hanno.
Per rendermi conto del fenomeno ho seguito altra via: ho diramato largamente tra i cappellani militari e tra persone aventi una coltura religiosa un questionario che mi ha procurato un grande numero di risposte e di documenti preziosissimi. Da questa inchiesta risulta in primo luogo il seguente fatto: nei primi mesi della guerra, riferiscono concordi i cappellani, erano frequenti i casi di soldati che, nati ed educati nel cattolicesimo, di fronte al pericolo sempre più frequente, erano richiamati ai loro doveri religiosi. Poi, a poco a poco, l’abitudine al nuovo genere di vita, la stanchezza fisica e morale hanno attutita anche questa sensibilità religiosa. Quindi si comprende la risposta data dalla grande maggioranza dei cappellani, molti dei quali hanno confortata la loro risposta con dati e statistiche: una rinascita religiosa non esiste.
La grande maggioranza, non educata a coltivare il sentimento religioso, anzi per lo più abituata a considerarlo con disprezzo, ovvero limitata alla pratica esterna della vita religiosa, ha continuato ad essere come era a casa sua. I contadini nella maggioranza hanno continuato a praticare la loro vita religiosa; gli operai hanno persistito ad essere irreligiosi.
Un fatto di notevole importanza, che mi è attestato con concordia di giudizio, si è che pochissimi nei nostri ospedali da campo muoiono senza Sacramenti; che ancor più rari sono i casi di soldati che li rifiutano, che quasi nessuno respinge il prete. E fra coloro che muoiono con il conforto della Fede, vi sono moltissimi che sino a ieri non hanno mai avvicinato un sacerdote, che nulla conoscono dei primi elementi della religione, che forse nelle case loro, sarebbero morti senza la parola del sacerdote.
Ma, si osserva, quale credito si può dare a queste conversioni compiute in fin di vita, inspirate dalla paura?
Il soldato giovane ed inesperto sente il bisogno di serrarsi a quello più anziano, ha bisogno di sentirsi protetto in qualche modo. Si risvegliano in lui i ricordi: della famiglia, della sposa, dei figli, della religione anche; allora prega, e, se vede il cappellano, gli si serra vicino, sente come la protezione di Dio, di un Essere Supremo, che lo può salvare, e pregando lo invoca e gli promette qualche cosa. E, occorrendo, andrà anche più oltre sino alla confessione, ai sacramenti.
1Se le cose restassero qui, si avrebbe ragione di denunciare il carattere superficiale delle conversioni causate dalla paura della morte. Non è però né sempre, né per tutti così. […] Io ho più volte assistiti dei feriti raccolti in una sezione di sanità o in un posto di soccorso subito dopo l’episodio del quale erano stati vittime; più volte ho seguito il triste convoglio dei portaferiti lungo le valli tortuose, ed ho potuto riscontrare quanto sia vero ciò che mi hanno detto e medici e cappellani, e cioè che vi è nei feriti una profonda calma che subentra all’eccitazione del primo momento, che nelle anime loro di frequente si fa strada una rassegnazione serena.
Si nota cioè che, se nel soldato sano non si ha una rinascita religiosa, la vita religiosa rinasce nel soldato ferito.
Nel soldato che muore la religione appare nella sua funzione consolatrice. Ad essa non ricorre nella speranza superstiziosa di aver trovato un mezzo per sfuggire alla morte, come suppongono quelli che discutono intorno alla morte dei nostri soldati stando nel tepore quieto dei salotti pettegoli, ma appare come quella che sola dà un senso alla vita, che eleva ed eterna il sacrificio compiuto per la patria. E questa consolazione non è astratta ma reale, ma immediata.
Ma la professione di fede cristiana non si realizza d’un tratto. L’educazione religiosa è stata compiuta dalla voce del cannone durante i mesi di trincea, e il soldato ha appreso questa lezione quasi senza avvedersene.
I CAPPELLANI MILITARI NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE: L’ISTITUZIONE, LA DIVISA, LA GUERRA, I PERSONAGGI E
LE MEDAGLIE D’ORO di Angelo Nataloni
INTRODUZIONE
Molti studiosi dei fenomeni della Grande Guerra hanno sottolineato il carattere religioso del soldato italiano e non soltanto di quello illetterato. La cosa era molto spesso annotata nelle memorie degli ufficiali, come ci dimostra Stefanino Curti, Capitano degli Alpini, 2° Reggimento, di Imola (BO):
“Ieri abbiamo avuto la Messa al campo e vi garantisco che è stata qualcosa di commovente: abbiamo per cappellano un frate genovese; l’altare venne eretto su di una roccia e ad assistere al Sacrificio Divino sono accorsi i soldati in gran numero; certo che il pericolo fa diventare più religiosi e fa pensare maggiormente ai casi nostri; vi sono due o tre soldati che portano persino puntata sulla giubba una medaglietta che venne distribuita dal Padre. Questa messa celebrata quassù in alto, su di un altare improvvisato, all’aria aperta, circondato dai miei bravi Alpini, lascerà certamente impresso nel mio animo un ricordo che non si potrà mai più cancellare”.
Ma soprattutto, ciò traspare nelle memorie dei cappellani militari, con soddisfazione quasi curiale, come da questa testimonianza del Tenente Cappellano, don David Conti di Brisighella (RA):
Un soldato mi ha detto: Permette reverendo che si dica il Rosario? E infatti durante la Messa, nella chiusa caverna stipata da soldati, il murmure ritmico delle molte voci che gravi e lente recitavamo il Rosario mi diede idea di una cara e solenne funzioncina. Sono sempre belle scene che soddisfano ”
Per approfondire il tema potrete visitare il sito Rai Cultura
Ecco il link diretto: https://www.raicultura.it/webdoc/grande-guerra/cappellani/index.html#Intro
Come si diventa Cappellano Militare?
Per entrare a far parte di questo ordine c’è un corso di studi specifico, ovvero il Seminario Maggiore dell’Ordinariato Militare in Italia, vale a dire la scuola allievi cappellani in Italia, che è stata istituita nel 1997.
Chi nomina il Cappellano Militare?
La nomina dei cappellani militari addetti è effettuata con decreto del Presidente della repubblica su proposta del Ministro per la difesa, previa designazione dell’Ordinario militare ai sensi della LEGGE 1° giugno 1961, n. 512. Statuto giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell’assistenza spirituale alle Forze Armate dello Stato.
EROI SENZA EMORIA – I CAPPELLANI MILITARI Dei Militari che combattono con l’unica arma che hanno a disposizione: “La Fede” la fede in Dio, la Fede che conosce il perdono, la pietà, la compassione. Quindi dei guerrieri che hanno dispensato sul campo di battaglia, combattendo con quegli Eroi Senza Memoria, amore, conforto ed hanno raccolto le ultime volontà e il Sacramento della Confessione di tanti ragazzi esanimi prima del loro spirare. Quindi non meno Eroi dei tanti ragazzi che hanno donato la loro vita fino allo spasimo per regalarci un mondo migliore. Non rendiamo vano questo sacrificio rendiamo un giusto tributo e gli Onori a questi militari anche da buoni Cristiani e Cattolici; e chi sente la vocazione ancora oggi in tempo di pace, anche se intorno a noi nuovi grandi focolai si sono accesi, la segua, segua il suo istinto e vada verso il Signore che imporrà le sue mani su di loro e su tutti noi.
E adesso vado a riportare le vere testimonianze dai vari fronti, grazie all’impeccabile e straordinaria accuratezza del mio FRATELLO D’ARMA Tenente William Rossi. Un eccellente lavoro di ricerche fatte in ogni dove tra archivi storici e che mi ha permesso di realizzare con scritti ed immagini queste pagine di storia nascoste nel tempo chissà dove e magicamente comparse grazie alla dedizione e la sensibilità umana di William, un Fratello, Un Uomo, Un Ufficiale, Una Nobile Persona, Un Bersagliere…
Capitano Giuseppe Grandi
Comandante la 46ª compagnia del Battaglione alpini “Tirano”,
5º Reggimento Alpini,
2ª Divisione alpina “Tridentina”

La morte del Capitano Grandi in Russia
………..Si nota anche dalle molte foto di montagna, in cui ritrae i crocifissi o piccole cappelle sommerse dalla neve». Anita ebbe una fitta corrispondenza con padre Narciso Crosara, il cappellano del battaglione, che di Giuseppe era molto amico. Furono proprio gli uomini della 46ª compagnia a trovare l’immagine che divenne “la Madonna del Don”; più precisamente gli uomini del plotone di Perego… Nota e commovente l’ultima confessione di Grandi morente, raccontata da Nuto Revelli: «Cammino accanto alla slitta dei feriti più gravi. Sotto una coperta Grandi è coricato a gambe piegate per soffrire meno. Uno sbandato, che da tempo camminava al mio fianco, mi chiede se sotto la coperta c’è un ferito grave. Non vorrei rispondergli. Penso per un attimo che voglia chiedermi un posto in slitta. Lo guardo appena. Il suo viso è disfatto, le mani avvolte in stracci, i piedi fasciati, cammina a stento, curvo, quasi trascinandosi. Gli dico che sulla slitta c’è il mio comandante di Compagnia, ferito gravemente all’addome.
Camminiamo ancora per un lungo tratto, io sempre accanto alla slitta, lui sempre vicino a me. Parla di nuovo, con voce timorosa: chiede se il ferito è credente. È una domanda strana, lo guardo sorpreso. Capisce, dice di essere un cappellano della Julia, vorrebbe confessare Grandi. Ci penso su. I miei stati d’animo si confondono. Mi fa pena, poi diffido: penso che speri così di viaggiare un po’ in slitta; infine sento per lui quasi riconoscenza. Mi chino, alzo la coperta, chiedo a Grandi se vuole essere confessato. Grandi, con uno sguardo pieno di bontà, di sofferenza, acconsente. Il cappellano si avvicina, si piega in due per parlare meglio, e cammina, cammina a lungo, trascinandosi nella neve con uno sforzo immenso. Non si appoggia, non tocca la slitta. A tratti sbanda, come se dovesse restare indietro, poi si fa forza, si riprende. Si alza infine, affranto dalla stanchezza. Mi ringrazia. Si perde fra gli sbandati». Il cappellano era don Alfredo Battaglino.
Don Alfredo Battaglino (MAVM)
La figura di Grandi è leggendaria anche e soprattutto per l’amore incondizionato dei suoi L’unica fotografia che si conservi del capitano Grandi in Russia. uomini, segno delle vere virtù di un capo. «Il miglior comandante di uomini che abbia mai conosciuto», dice Revelli che, poco dopo averlo incontrato aveva affermato: «Era un po’ strambo, Grandi. Gli alpini però sentivano che con lui si poteva andare in guerra, ed era una vera fortuna averlo comandante».
Eugenio Corti lo definisce «un ufficiale modesto quanto risoluto» e poco oltre «a Luca dispiacque vedere andar via il capitano Grandi: egli non lo conosceva che di vista, ma senza di lui si sentiva in qualche modo impoverito, tanto quell’uomo sconosciuto gl’ispirava fiducia: un vero padre nel senso alpino». Concreto, partecipe della vita dei suoi uomini, sempre primo nel fare e nel coraggio, generoso: sono virtù che non si improvvisano.
………..Non è sovrumana maestà quella del capitano Grandi che, ferito a morte, vedendo intorno alla slitta il cerchio silenzioso dei suoi alpini grida: «Che cosa sono questi musi duri? Su ragazzi, cantate con me: il capitano si l’è ferito, si l’è ferito: sta per morir». E allora, sulle desolate distese della steppa invernale, si leva un lesto e mesto corale di alpini, portato dal vento gelido della sera e guidato da una voce sempre più fioca di un morente. «Il primo pezzo al Re d’Italia… Il terzo pezzo alla mia mamma… Il quinto pezzo alla montagna che lo ricopra di rose e fior…». Però «si muore come si è vissuto». E se il dato unanime è l’amore e la devozione quasi filiale dei suoi uomini, significa che esistevano virtù morali e grandezza d’animo necessarie a giustificare un tale legame.

Medaglia d’Oro al Valor Militare
«Magnifica figura di comandante di compagnia, le cui virtù hanno avuto modo di essere particolarmente note fin dai primi giorni in cui assumeva posizioni sul fronte orientale. Situazioni critiche e minacciose furono da lui affrontate con freddo calcolo e con indomito coraggio. L’attività del tenente Grandi è stata talmente preziosa ed infaticabile da metterlo in evidenza come uno dei soldati più meritevoli cui resta indissolubilmente legata la granitica opera difensiva che fece delle linee della sua divisione un baluardo insormontabile. Durante un arduo e difficile ripiegamento, allo scopo di sventare un’irruente manovra nemica di aggiramento, infervorati con la voce e con l’esempio i suoi alpini, si lanciava irresistibilmente nel cuore della mischia, riuscendo dopo aspra e sanguinosa lotta, ad arrestare e frantumare il poderoso urto di un nemico superiore in uomini ed in mezzi. Ferito all’addome e consapevole della fine imminente, non desisteva dall’animare i propri uomini. Vedendo intorno alla sua slitta insanguinata pochi alpini superstiti, silenziosi ed addolorati, trovava la forza di incitarli ad esultare per il superbo successo conseguito e ad intonare con lui le strofe di una nostalgica canzone: «Il comandante la compagnia l’è si ferito e sta per morir… ». Come un vasto, religioso corale si diffonde allora nella distesa gelida della steppa la voce degli alpini, quale simbolo imperituro della tenace gente della montagna, del suo incomparabile spirito di sacrificio, del suo eccezionale ardimento, della sua inconcussa fede nella vittoria..»
Quota 228, quota 226,7 – Belogory – Arnautowo (Russia), 9 settembre 1942-26 gennaio 1943.
Don Carlo Gnocchi
Cappellano militare della Divisione Alpina TRIDENTINA
Rimasto orfano del padre all’età di 5 anni, si trasferisce a Milano con la madre e i due fratelli, che di lì a poco muoiono di tubercolosi.
« Due miei figli li hai già presi, Signore. Il terzo te l’offro io, perché tu lo benedica e lo conservi sempre al tuo servizio »
(Clementina Pasta, madre di Don Gnocchi)
Don Gnocchi con il Generale Reverberi Comandante la Divisione Alpina Tridentina in partenza per la Russia


Parlando degli Alpini combattenti in Russia disse:
“Dio fu con Loro, ma Loro furono degni di Dio”
Ho veduto il Cristo! Da quel giorno, la memoria
esatta dell’irrevocabile incontro mi guidò d’istinto
a scoprire i segni caratteristici del Cristo sotto
la maschera essenziale e profonda di ogni uomo
percosso e denudato dal dolore, nel gregge cupo
e macilento dei prigionieri di guerra, dallo sguardo
vuoto e fuggitivo come di belve in cattura,
sul volto sacro dei miei morti e dei miei feriti.
(Don Carlo Gnocchi, Cristo con gli Alpini, 1943)

Don Gnocchi celebra Messa all’aperto con gli Alpini sul Fronte Russo
Dopo la Guerra in Russia Don Carlo scriveva:
“L’uomo è un pellegrino, malato di infinito,
incamminato verso l’eternità.
La personalità è sempre in marcia,
perché essa è un valore trascendente:
la sua forma perfetta non si raggiunge
che nell’altra vita, piena e indefettibile.
Purché l’uomo non si lasci stancare dalla lotta,
purché si opponga alla sclerosi progressiva
o causata dagli anni e dalle delusioni della vita,
purché dia ogni giorno un tratto
alla costruzione del suo capolavoro.
In vista dell’eternità.”
(Don Carlo Gnocchi, Restaurazione della persona umana, 1946)
Minato da un male incurabile, don Carlo MUORE PREMATURAMENTE a Milano, il 28 febbraio 1956. L’ultimo suo gesto profetico è la DONAZIONE DELLE CORNEE a due ragazzi non vedenti, quando ancora in Italia il trapianto d’organi non era ancora regolato dalla legge.
« Grazie di tutto… »
(Ultime parole di Carlo Gnocchi)

Alpini con in braccio i “mutilatini” della Sua Opera in processione alla morte di Don Carlo

Don Carlo è sempre accanto agli Alpini e sfila con Loro.

Medaglia d’argento al valore militare
“Cappellano del quartier generale di una divisione alpina, durante quindici giorni di duri combattimenti in azione di ripiegamento, incurante del pericolo si portava dove più infuriava la lotta per porgere ai feriti il conforto della fede ed ai combattenti la parola incitatrice di vittoria.”
Medio Don – schebekino(fronte russo)16-31 gennaio 1943

La salma di don Gnocchi portata in processione in piazza Duomo, a Milano, in occasione della sua beatificazione (25 ottobre 2009).
Il 17 agosto 1979 un alpino, specializzato elettricista, di Villa d’Adda, sopravvive ad un grave incidente di lavoro. Il miracolo viene attribuito a don Gnocchi, invocato dalla vittima.
Don Giovanni Mazzoni (nella celebrazione della sua ultima Messa) comunica i Bersaglieri del 3° Reggimento (Uno dei Reggimenti più decorati al mondo) il giorno di Natale 1941 a Rassypnaja. Assieme ai militari italiani partecipano alla funzione anche civili russi.

Don Giovanni Mazzoni Cappellano Bersagliere Pluridecorato al valor militare comprese 2 MOVM
Era solito soccorrere i feriti per curarli ed i moribondi per impartirgli l’estrema unzione, il tutto sotto il fuoco nemico, imperterrito, levava lo sguardo al cielo e con ampi gesti benediceva i morenti con il segno della croce…..e così insieme ai Suoi Bersaglieri cadde in battaglia.
La storia
Don Giovanni aveva appena terminato di celebrare Messa e ripiegando i paramenti sacri stava discutendo con alcuni Bersaglieri, quando i russi attaccarono in forze.
Un Bersagliere ferito era rimasto al di la della trincea….ma morente.
Don Giovanni non esita, “devo andare” a chi tenta di fermarlo dice bonario….”a me non sparano”, invece fu colpito mentre svolgeva il suo ministero.
Tre giorni dopo i Bersaglieri contrassaltano e riconquistano la posizione. Cercano e trovano la salma di Don Giovanni. Lo tumuleranno con tutti gli onori nel piccolo cimitero del 3° Reggimento Bersaglieri a Rassypnaja.



Morte, neve e gelo a far loro compagnia, Dicembre 1941, la reazione dei nostri Artiglieri e dei Bersaglieri del 3° RGT è rabbiosa, riconquistano la posizione perduta e si riuniscono………vivi e morti (Don Giovanni compreso).
Medaglia d’oro al Valor Militare
“Quantunque dispensato dal presentarsi alle armi, allo scoppio della guerra vi accorse volontariamente dalla Siria dove stava esercitando apostolato di religione e di Italianità e fu nel proprio reggimento costante e fulgido esempio del più puro amor di patria e del più straordinario coraggio. Già due volte premiato per distinte azioni di valore, primo fra i suoi soldati nel compimento della sua opera, non conobbe ostacoli e tenne il dovere mai come un limite da raggiungere, sempre come una mèta da oltrepassare. In una speciale circostanza messosi risolutamente alla testa di un manipolo di militari privo di comandante, nel momento più grave della dura lotta li trascinò arditamente contro il nemico più forte di uomini e di armi e con irresistibile impeto lo debellò e lo costrinse alla resa facendo prigionieri e catturando materiale. Ferito rimase al combattimento finché non ebbe assicurata la vittoria. Già distintosi per elette virtù militari in numerosi combattimenti, sempre impavido nelle zone più fortemente battute dal fuoco avversario, sempre intrepido di fronte ai più gravi pericoli. Carso, 23 maggio – 5 giugno, Comarie, 30 agosto 1917.”
Medaglia d’oro al Valor Militare
«Medaglia d’oro per la Guerra 1915-1918, dopo aver fieramente chiesto ed ottenuto l’assegnazione ad una unità di prima linea impegnata in aspra lotta, dava continua e chiara testimonianza del suo fervore di apostolo e della sua tempra di soldato fuse nella esplicazione più nobile delle attribuzioni sacerdotali e nell’ascendente del più schietto ardimento e di ineguagliabile abnegazione. In giornate di cruenti combattimenti divideva con raro spirito di sacrificio gli eroismi di un reggimento bersaglieri portando a tutti, pur tra i maggiori pericoli, le parole infiammate della fede e la voce trascinante del suo coraggio. In una alterna vicenda dell’accanita lotta accortosi che un ferito rimasto isolato invocava aiuto, e nonostante che altri tentativi fossero rimasti soffocati nel sangue, con ammirevole temerità e consapevolezza si lanciava per soccorrere il dipendente ne desisteva dal suo nobile intento pur quando il piombo lo colpiva ad un fianco. Ferito di nuovo e mortalmente, alle estreme risorse vitali affidava la sublimità mistica della sua intrepidezza raggiungendo l’agonizzante e spirando al suo fianco. Esempio mirabile delle più elette virtù e di sublime coscienza dell’ideale patrio. Rassypnaja, Petropawlowka (Fronte Russo), 1-26 dicembre 1941»
Medaglia d’argento al Valor Militare
«In una zona assai battuta dalla fucileria nemica, si cacciava sulle spalle un ferito, raccogliendolo tra i cadaveri di altri quattro militari che, prima di lui ne avevano tentato il recupero, e riusciva a portarlo al sicuro, confortandolo come Sacerdote ed assistendolo come infermiere. Monte Zebio, 6 luglio 1916.»
Medaglia di bronzo al Valor Militare
«Spontaneamente in due sere successive, con pericolo di vita, si spingeva, unitamente ad altri, sotto il fuoco nemico, sino ai reticolati avversari, per raccogliere numerosi feriti e morti, che riportava nelle nostre trincee. Monfalcone, 10 novembre 1916.»

Il cimitero del 3° Bersaglieri a Rassypnaja, dove è sepolto don Mazzoni
Il Colonnello Aminto Caretto (per i Bersaglieri, Papà Caretto) Comandante del 3° Rgt Bersaglieri 10 volte decorato al VM e MOVM, ferito in Combattimento a Serafimovich, non abbandonò il posto di Comando in prima linea, anche se l’Ufficiale medico gli impose di farsi ricoverare nelle retrovie per la brutta ferita ad una gamba, il Colonnello rispose secco “Ci sono Bersaglieri con i piedi maciullati e le mani congelate che continuano a combattere…..non posso abbandonarli ora”. Al termine della battaglia (vittoriosa) decise di farsi controllare la ferita nelle retrovie……ma ormai era troppo tardi, la cancrena si era propagata, poco dopo spirò. Il Colonnello Caretto era solito dire ai Suoi Bersaglieri “Solo i Caduti possono sostar per via”……..Lui come Don Giovanni Mazzoni e tanti altri Gloriosi Caduti hanno seguito questo insegnamento……Ora sì possono sostar per via.

Cimitero del 3° Reggimento Bersaglieri a Rassypnaja

Maggio 1996. A Loro Ciuffenna ritornano le spoglie di Don Giovanni Mazzoni è tornato a casa dopo 55 anni.
EROI SENZA MEMORIA – I CAPPELLANI MILITARI
Termina qui questo altro lungo sentiero nei meandri della storia. Questa volta segnata dalla Fede, quella Fede che dobbiamo recuperare principalmente in noi stessi, che deve essere professata nel modo più intimo possibile recuperando quei valori dissolti nel tempo e che più che mai oggi dovrebbero essere recuperati e condivisi con pacatezza anche con parole semplici, ma che partano dal cuore una piccola “battaglia” benefica di pace e fratellanza con il tuonare dei battiti del cuore che saranno amplificati ovunque.
Voglio ringraziare di cuore chi mi ha consentito di pubblicare periodicamente articoli su questo blog dedicato a questi “Eroi Senza Memoria”. Un grande Uomo, un Fratello, Un Amico, Una Nobile Persona, Un Collega Ufficiale, Una Persona dotata dotata di una enorme sensibilità Il Tenente Rossi, Un Comandante che mi ha permesso di disporre di un archivio di notizie e passi reali dal fronte da lui reperite con una accurata ricerca presso archivi storici ed in rete. Un lavoro costruito nel tempo e me ne ha fatto dono; il più bel dono che un fratello potesse farmi in un momento difficile per me facendomi rifugiare nella scrittura, che è una delle mie tante passioni. E spero di essere stato all’altezza di emozionare con dei fatti reali come William ha emozionato me con tanti discorsi e tanti messaggi durante questo lungo periodo di riposo a causa di un incidente in moto che ho avuto il 2 Gennaio scorso. Ma tra poco sarò in piedi per andarlo ad abbracciare e ringraziarlo di persona.
Grazie di esistere William….
E poi tutti noi parliamo con i nostri anziani, facciamoli vivere, facciamoli sorridere, rendiamo il loro inevitabile viale del tramonto fatto di nuove primavere.
Esistono ancora generazioni che hanno visto e vissuto due Guerre Mondiali. E quelle generazioni sono la memoria storica del nostro Paese.
Oggi tutto questo si sta perdendo. Probabilmente alcuni cittadini, tra i più giovani, non conoscono ancora quante regioni esistono nel nostro stivale ed hanno avuto poche possibilità di viaggiare all’estero.
Viaggiamo con le nostre famiglie, andiamo a visitare luoghi e monumenti per rendere omaggio e onorare questi caduti. Io nella mia vita, quando ho avuto la possibilità di farlo non mi sono fatto mai mancare i viaggi.
Mi hanno aperto la mente verso altre culture, ho visitato paesi in Occidente, ma anche in Oriente e ne sono rimasto sempre affascinato, ho varcato la soglia di vari luoghi di culto rispettando sempre le regole di quei siti; perché facciamo parte tutti di un unico pianeta: la Terra.
Questo meraviglioso pianeta azzurro, un’oasi nello spazio unica per l’immensa superficie coperta dal mare che lo fa splendere in questo modo.
Onoriamo questi Eroi Senza Memoria – I Cappellani Militari guardando verso quell’azzurro dove ora vegliano su di noi.
Condividiamo questo Articolo come gli altri. Sarà il Vostro contributo per non far dimenticare. Io sono solo un tramite che attraverso un blog vuole rendere il giusto tributo a questi Eroi Senza Memoria…
Tornate a leggere il mio Blog “Eroi Senza Memoria” http:www.alessandrolopez.it
Un momento di raccoglimento per i nostri EROI SENZA MEMORIA – I CAPPELLANI MILITARI…
Figure che sono sempre poco nominate ma che hanno storie e vissuti incredibili nella loro missione
Tutti hanno il diritto di essere ricordati.
Grazie Davide per il commento.