EROI SENZA MEMORIA -Julia 20 gennaio – Il massacro

“Eroi senza memoria – Julia 20 gennaio – Il massacro” . Cari lettori questo articolo è il primo di di una rubrica del mio blog che ho deciso di intitolare “Eroi senza memoria”.

Eroi di tempi passati, soldati di ogni grado, Arma e specialità che hanno combattuto per un mondo migliore, quello in cui oggi noi viviamo e che oggi forse si dovrebbe rispettare un po’ di più.

Con la collaborazione del Tenente William Rossi, un mio grande amico, un fratello d’Arma un collega del 117° Corso Allievi Ufficiali di Complemento, che ha nel tempo svolto un fantastico e meticoloso lavoro di ricerca sul web ed anche con Associazioni Combattentistiche d’Arma per trovare notizie sulle grandi battaglie e appunto approfondire e riportare pensieri, lettere per ricordare ed evocare quei momenti estremamente difficili che gli eserciti hanno dovuto subire nelle guerre.

Mi ha donato e messo a disposizione un vero e proprio archivio per pubblicarlo periodicamente in questa rubrica “Eroi senza memoria” e non finirò mai di ringraziarlo perché in questo periodo di riposo forzato a casa per un infortunio da incidente in moto, mia relato l’opportunità di scrivere, una mia grande passione, che in un momento del genere mi sta rigenerando fisicamente e psicologicamente.

Quindi leggendo i suoi scritti, anche io mi sono appassionato a questa ricerca e sono andato piano piano con i miei mezzi ad approfondire ancora di più ogni singolo gesto degli “Eroi senza memoria”

Oggi scriverò della battaglia di Nowo Postojalowka.

Il 19 e 20 gennaio 1943 presso questa località, nell’ambito dell’offensiva Ostrogožsk-Rossoš’, ci fu il più rilevante scontro armato, per reparti impegnati e per il numero di caduti, fra le divisioni italiane alpine in ritirata e l’Armata Rossa, dietro le linee del Don.

La battaglia iniziò verso mezzogiorno del 19 gennaio, quando la colonna dell’8º Reggimento alpini della Divisione Julia si trovò la marcia sbarrata da ingenti truppe russe, asserragliate a Nowo Postojalowka, località formata da un piccolo gruppo di isbe situato sulla pista che le divisioni alpine in ritirata dovevano percorrere, su una dorsale che separa la valle del fiume Rossosch da quella dell’Oljkowatka, entrambi affluenti del Kalitwa prima della confluenza nel Don.

Partirono all’attacco prima il Battaglione Gemona, appoggiato dall’artiglieria del Gruppo Conegliano, poi i Battaglioni Tolmezzo e Cividale, ma gli attacchi degli alpini della Julia furono sempre respinti dalle truppe russe, che poi contrattaccarono con i carri armati.

Nella notte i battaglioni della Julia furono raggiunti dalla colonna del 1º Reggimento alpini della Divisione Cuneense e i comandanti concordarono di procedere prima dell’alba ad un nuovo attacco, che fu guidato dagli alpini del Battaglione Ceva, che furono respinti dalle artiglierie e dal contrattacco di alcuni carri armati russi.

Più tardi arrivarono gli altri battaglioni della Cuneense e i comandanti delle due divisioni, Emilio Battisti per la Cuneense e Umberto Ricagno della Julia, concordarono di procedere all’attacco della postazione russa con tutti reparti disponibili.

Gli attacchi delle truppe alpine continuarono per tutta la giornata, ma furono sempre respinti dai cannoni e dalle mitragliatrici russe posizionate fra le case di Nowo Postojalowka e dalle incursioni dei carri armati sovietici T-34.

Durante i combattimenti caddero eroicamente il comandante del Battaglione Mondovì, maggiore Mario Trovato, e quello del Ceva, tenente colonnello Giuseppe Avenanti, oltre a decine di ufficiali e migliaia di alpini.

Il generale Emilio Battisti, nella relazione “La Divisione Alpina Cuneense al fronte russo”, scrisse: “Il giorno 20 gennaio, per rompere lo sbarramento nemico … furono impiegati … quattro battaglioni alpini che andarono quasi completamente distrutti.”

Il generale Emilio Faldella, nella sua “Storia delle truppe alpine”, così definisce la battaglia di Nowo Postojalowka:

” … quella sanguinosa, disperata battaglia che durò, pressoché ininterrotta, per più di trenta ore ed in cui rifulse il sovrumano e sfortunato valore dei battaglioni e dei gruppi della Julia e della Cuneense, che ne uscirono poco meno che distrutti”. … la più dura, lunga e cruenta fra le molte sostenute dagli alpini, sia in linea sia nel corso del ripiegamento.”

Il 19 e 20 gennaio 1943 nell’ambito dell’offensiva Ostrogožsk-Rossoš‘, si svolse il più rilevante scontro armato, per reparti impegnati e per numero di caduti, fra le divisioni alpine in ritirata e l’Armata Rossa. Nella piccola località di Nowo Postojalowka le divisioni Julia e Cuneense, due delle tre unità che componevano il Corpo d’Armata Alpino, giunsero nel pieno della fase di ripiegamento dalle posizioni che occupavano sul fiume Don, dopo lo sfondamento dei sovietici nel settore tenuto dalle truppe tedesche e ungheresi. Qui le nostre divisioni, già duramente provate dalla fatica, dal freddo e dalla fame, si trovarono a combattere contro un nemico superiore in uomini e armi.

La battaglia ebbe verso mezzogiorno del giorno 19, quando la colonna dell’8º Reggimento alpini della Julia si trovò sbarrata la strada da ingenti truppe sovietiche, asserragliate nella piccola località, formata da un gruppuscolo di isbe situato sulla pista che le divisioni alpine in ritirata dovevano percorrere, su una dorsale che separa la valle del fiume Rossosch da quella dell’Oljkowatka, prima della confluenza nel Don. Gli alpini si prodigarono in attacchi ripetuti, prima il Battaglione Gemona, appoggiato dall’artiglieria del Gruppo Conegliano, poi il Tolmezzo e il Cividale, si lanciarono in attacchi disperati, che vennero sempre respinti dai russi, che anzi passarono al contrattacco con componenti corazzate.

Nella notte i battaglioni della Julia furono raggiunti dalla colonna del 1º Reggimento alpini della Divisione Cuneense e i comandanti concordarono di procedere prima dell’alba ad un nuovo attacco. L’azione fu affidata agli alpini del Battaglione Ceva, ma anche in quella occasione, gli attaccanti furono respinti dalle artiglierie e dal contrattacco dei carri armati sovietici. Più tardi arrivarono gli altri battaglioni della Cuneense e i comandanti delle due divisioni, Emilio Battisti per la Cuneense e Umberto Ricagno della Julia, concordarono di procedere all’attacco delle posizioni nemiche con tutti reparti disponibili, occorreva a tutti i costi sfondare.

Gli attacchi dei nostri alpini, condotti con la forza della disperazione, continuarono per tutta la giornata, ma furono sempre respinti dai cannoni e dalle mitragliatrici russe posizionate fra le case di Nowo Postojalowka e dalle incursioni dei temibili carri armati sovietici T-34.

Durante i combattimenti caddero eroicamente il comandante del Battaglione Mondovì, maggiore Mario Trovato, e quello del Ceva, tenente colonnello Giuseppe Avenanti, oltre a decine di ufficiali e migliaia di alpini. Il generale Emilio Battisti, nella relazione “La Divisione Alpina Cuneense al fronte russo”, scrisse:

“Il giorno 20 gennaio, per rompere lo sbarramento nemico … furono impiegati … quattro battaglioni alpini che andarono quasi completamente distrutti.”

Nel durissimo scontro, vennero praticamente annientati i battaglioni alpini Saluzzo, Ceva, Borgo S. Dalmazzo, Dronero e Mondovì. Nonostante tutto, molti alpini non si arresero, come il maggiore Carlo Boniperti del Saluzzo che, con i suoi ultimi 150 uomini cerco’ di forzare il passaggio o come il capitano Lino Ponzinibio, comandante del Mondovì, medaglia d’oro al Valor Militare che, seppur ferito, respinse l’ordine di resa e con quel che restava della sua unità resistette ancora per circa due ore con i suoi alpini, inchiodati nella neve sotto il fuoco dell’artiglieria e dei mortai.

Nella dura battaglia di Nowo Postojalowka, l’unica combattuta sul fronte orientale esclusivamente da truppe italiane, senza il concorso, seppur minimo, di reparti o mezzi corazzati alleati e durata circa trenta ore, la Divisione Alpina Cuneense venne praticamente distrutta, anche se il calvario dei superstiti che continuarono ad avanzare combattendo, si concluderà solo il 27 gennaio 1943, quando la cattura del Generale Battisti e degli ufficiali al suo comando, decretò la fine della grande unità.

Alla gloriosa divisione alpina toccò in questa tragica campagna il doloroso primato delle perdite, quasi 14 mila fra ufficiali, sottufficiali, alpini morirono o furono dichiarati dispersi in terra di Russia.

“…L’incubo sono i carri armati. Sono pochi, ma mancano gli adeguati pezzi controcarro, i 75/38, per affrontarli. Gli alpini vi si avventano come nei libri dell’infanzia hanno letto che facevano i cavalieri contro i draghi. Il Capitano Zilioli, comandante della 71a del Gemona, conduce i suoi pochi “lazzaroni” superstiti all’assalto, il Tenente Continenza rende inutilizzabile con le mani il congegno di puntamento di un carro. Si è specializzato nel salire sui carri da dietro spiccando il balzo quasi da fermo.

Zilioli lo vuol proporre per una medaglia d’oro: chissà dove si è persa la pratica. Il Tenente Crespi e il Sottotenente Mutisio portano trentadue genieri del IV battaglione sulla linea del Mondovì. Si battono con la forza della disperazione.

Quando la granata di un cannoncino colpisce i cingoli di un bestione e lo ferma il Tenente Crespi prepara una molotov, gli si fa sotto, riesce a incendiarlo. Gli italiani si aggrappano a una furia che è figlia dell’impotenza. Non conta vincere, non conta vivere, conta vendicarsi di quei T34, che non si danno neppure la pena di sparare e puntano a schiacciare, conta fargliela vedere a quel nemico che avanza urlando “urrà”.

È una mischia selvaggia. Non ci sono ordini, disposizioni, manovre da eseguire. Si lotta perché non resta altro da fare. Ci si accanisce intorno a pagliai di nessuna importanza, il fronte ondeggia a secondo di singoli episodi.Gli alpini si raccolgono nei pressi dei cannoni e delle mitragliatrici. Si apre la porta di un’isba e un gruppetto esce di corsa per caricare con bombe e baionette.

Lo guida il Tenente Colonnello Vincenzo Mignone del 1°, alle sue spalle il Tenente Assunto Bianco, poi chi ha voglia di giocarsi la vita in una manciata di secondi. I sovietici arretrano, Mignone con il braccio indica di andare avanti, ma è rimasta una schiera esigua. Da dietro, però, arriva il Tenente Italo D’Eramo, addetto all’ufficio informazioni del reggimento, un richiamato che a trentasei anni ha scoperto l’orrore della guerra.

D’Eramo ha radunato quelli che ha potuto e con la Beretta d’ordinanza in mano è lì dove ritiene che debba essere. È ferito gravemente al torace. Mignone, Bianco e i sopravvissuti di quest’altra carica forse inutile, forse importante per spezzare l’accerchiamento lo riportano indietro. Il che significa fino all’isba da dove il Colonnello Manfredi ritto e sprezzante esorta gli artiglieri del ‘Mondovì’ a non sprecare i colpi.

Non li spreca il caporal maggiore Francesco Ferrero, venticinquenne cuneense al comando di una squadra mortai da 81. Veterano del fronte francese e di quello greco-albanese, Ferrero è capitato accanto a una batteria da 47/32 priva del suo comandante.

Ne ha assunto le funzioni, dirige i colpi dei mortai e dei cannoncini. Ben presto artiglieri e mortaisti sono decimati e circondati.

I pezzi vengono messi fuori uso, ne rimane uno solo: dietro di esso Ferrero, l’unico in grado di far funzionare l’arma. All’intimazione della resa risponde con un fuoco rabbioso, ma anche i proiettili a effetto perforante si sono esauriti. Il caporal maggiore spara l’ultimo prima di abbattersi sul cannoncino.

Eroismo dopo eroismo, sacrificio dopo sacrificio le penne nere indietreggiano: alle spalle hanno ormai le isbe occupate dai comandi. L’obiettivo prelibato dei sovietici sono gli artiglieri, i loro pezzi. Dalla cura con cui li cercano pare che abbiano ricevuto un ordine tassativo.

D’altronde sanno bene che senza quei pochi cannoni agli italiani resterebbe soltanto il furore. Le batterie sono tartassate, soprattutto quelle del Mondovì. Viene ucciso il Tenente Silvio Patrone che ha diretto il tiro dei 47/32 della 101a armi d’accompagnamento.

Viene ucciso il Capitano Alessandro Calanchi, comandante della 2a. Viene ucciso il Capitano Giuseppe Assone comandante della 10a, successore di un altro eroe sconosciuto, il Capitano Anton Filippo Donini, che prima di andare a morire era scattato sull’attenti davanti ai cannoni: “Addio pezzi della 10a, viva l’Italia”. Il comandante dell’11a, il Capitano trentunenne Silvio Sibona, genovese di Rivarolo Ligure, sta sulla neve ferito da schegge in più parti del corpo. Assiste impotente al massacro dei suoi.

Quando salta anche l’ultimo cannone, si tira su, afferra una bisaccia di bombe a mano e si lancia zoppicando contro un carro armato. È immediatamente fulminato.

Della 11a sopravvivono un pugno di artiglieri e il vice comandante, il Tenente Giulio Siragusa, ventiseienne di Gela (Caltanissetta). Siragusa si è battuto come un ossesso, ha sostituito i serventi ai pezzi, ha caricato, ha puntato, ha sparato. “Quanti siamo?” grida. “Quelli che vede” risponde il sergente maggiore Michele Filippi, un taciturno piemontese di Cuneo, che da ore fa di tutto. Siragusa raduna intorno a sé lo sparuto gruppetto della batteria. Balzano addosso al nemico, lui e Filippi in testa, gli altri a far da corona. Li attende il paradiso di Cantore.

Rossotto, il Tenente Colonnello del Conegliano, prova a spedire qualcuno dei suoi al Mondovì. È un’altra ecatombe. Per di più fanteria e carri convergono adesso sul gruppo.

La 13a di D’Amico perde un altro pezzo, la 15a del Capitano Antonio Monzani è presa d’infilata da tre thank. Il cannone del caporal maggiore Olivio Maronese ne centra uno, ma viene a sua volta centrato. Maronese ha una brutta ferita al fianco, però si regge in piedi, cerca con lo sguardo un pezzo che funzioni, a qualche decina di metri ne adocchia uno del Mondovì abbandonato, vi si trascina.

Vi arriva assieme a Monzani. Il Capitano fa da puntatore, Maronese da tiratore, un soldato tedesco da servente. Il pezzo del Mondovì torna a funzionare, un carro però lo inquadra. E’ un impari duello medievale: il mostro contro l’uomo, una sola chance disponibile con il cingolato che s’avvicina e i tre del cannone che l’aspettano. Da una parte e dall’altra cercano d’indovinare l’istante propizio per fare il botto. Sparano contemporaneamente. Il carro armato è colpito, così come il cannone.

Monzani è ferito, lo sconosciuto granatiere tedesco è deceduto, Maronese ha le gambe a pezzi. Perde sangue copiosamente, ma ai primi soccorritori sussurra di occuparsi del Capitano e dei rossi. Il ventiseienne caporal maggiore friulano muore dissanguato in pochi minuti.

Guidati dall’aiutante di battaglia Michele Bernardon alcuni artiglieri della 15a spingono un cannone sotto il T34. Sono fuori dalla visuale del puntatore, li protegge il mitragliere De Meio, che sparando all’impazzata impedisce all’equipaggio di affacciarsi dalla torretta.

Viene presa la mira, la granata si stampa sui cingoli, quel malefico thank è sistemato. D’Amico urla come un ossesso per tenere compatti i suoi mentre lui sta ritto sulla neve, pensando magari d’essere immortale: la sera prima è venuto giù il tetto in fiamme di un’isba, lo ha sfiorato bruciacchiando la barba.

Adesso una pallottola perfora il cappotto, la giubba e neppure gli scalfisce la pelle. Potrà festeggiare con la bottiglia d’acquavite fattagli poco prima recapitare dal Colonnello Cimolino.

Assieme a lui berranno in pochi.

Eroi senza memoria – Julia 20 gennaio – Il massacro prosegue…

Il Conegliano è falcidiato. Muoiono i Tenenti Pagni e Fassa, muore con un mitra in mano il sergente maggiore Luigi Pasianotto. Nel luglio del ’42 era sbarcato a Taranto dopo sette mesi di prigionia in Grecia.

Aveva scritto a Rossotto per dirgli di voler essere reintegrato nel gruppo. Un mese a casa con la moglie e la bambina e poi via verso l’Unione Sovietica.

Il sergente Bruno Zanni fa il pieno di cognac e balza su un thank immobilizzato, si fa passare una mitragliatrice e per quattr’ore se ne sta là sopra a costituire da solo una linea di resistenza….

Ultimi a tacere sono i grossi calibri della 73a batteria del Val Po: non hanno più granate. Il Tenente Colonnello Rossini, comandante del gruppo Mondovì, convoca allora i superstiti: un fucile a testa e via in mezzo agli alpini a far numero, a far muro prima che tutto sia compromesso.

Non esistono più compagnie, reggimenti, gruppi, specialisti. Si combatte con le armi che si trovano sulla neve, con quella data da un ferito o strappata a un cadavere. L’importante è sparare, l’importante è fermare la fiumana avversaria.

Si rincorrono le notizie più funeste: battaglioni maciullati, batterie travolte, alpini annichiliti, incapaci di qualsiasi reazione o capaci del gesto estremo pur di farla finita.

Le isbe adibite a comandi, a infermerie, a ricoveri del poco rimasto paiono sul punto di essere espugnate. E dietro la linea delle isbe, stanno le slitte, i quadrupedi: persi loro sarebbe persa l’ultima fioca speranza di raggiungere la salvezza.

Eroi senza memoria – Julia 20 gennaio – Il massacro, si accende una speranza…

Accade il miracolo. Corradi racconta che nella isba dov’è finito, e che casualmente è quella ospitante Ricagno, Battisti, Cimolino, Manfredi, stanno tutti accovacciati: dalle finestre spiano il passaggio dei sovietici, sono rassegnati al peggio. All’improvviso risuona un urlo: “Dai che scappano, dai che scappano…”

L’ha lanciato il Capitano Franco Magnani, un alpino della Lomellina cresciuto in mezzo alle risaie e alle zanzare. Magnani è stato un gran combattente sulla Kalitva e nei giorni del dolore si è adoperato per mantenere alto il morale, per conservare attraverso la disciplina la compattezza dei reparti.

Aveva un cavallo e con quello è andato su e giù lungo il serpentone attento a che non ci fossero cedimenti, crisi di sfiducia. L’hanno visto adoperare il frustino per impedire che lo scoramento sfociasse nel caos.

Non è vero che il nemico stia scappando, però è come se lo fosse. L’urlo di Magnani accende la ribellione al fato, all’imperizia, all’ineluttabilità. Dall’isba di Corradi e dalle altre vicino centinaia di morituri imbacuccati irrompono sulla spianata. Il Colonnello Voghera, l’austero responsabile dei servizi logistici, che un attimo prima aveva poggiato la canna del mitra sotto il mento, ora quel mitra lo usa per farsi largo tra i soldati con il colbacco e con la stella rossa. Contemporaneamente risuona il grido di guerra, che tragicamente accompagnerà la settimana di passione della ‘Julia’ e della ‘Cuneense’:“Tutti i vivi all’assalto…”.

Lo pronuncia il Tenente Colonnello Rossotto rivolto ai suoi del Conegliano, lo pronuncia il Maggiore Talamo rivolto ai suoi del Tolmezzo: il Maggiore è lì in mezzo ai suoi alpini nonostante un congelamento di terzo grado ai piedi. Gli ufficiali hanno la Beretta in mano, è quasi un ornamento, ma nell’orda che si scaglia fuori riconoscendosi nell’Avanti Savoia! dei campi risorgimentali molti hanno anche meno.

Furieri e infermieri, scritturali e congelati, feriti e conducenti, medici e telegrafisti hanno afferrato ciò che avevano sotto mano: coltelli da cucina, asce, baionette, fucili usati come mazze essendo finite le munizioni. Si uniscono gli artiglieri della 73a del Val Po, ormai priva di granate. Anche il Capitano Rossi grida Avanti Savoia! e tutti gli vanno dietro……Temperatura  – 40…….

Di questa batteria un solo ufficiale farà ritorno in Italia…”.

Eroi senza memoria – Julia 20 gennaio – Il massacro

Questa è la storia della battaglia di Nowo Postojalowka.

Onori a questi Soldati, Eroi senza memoria, quella memoria che noi dobbiamo invece recuperare attraverso questa ricerca accurata che io umilmente e con grande passione e senso di appartenenza alla mia Patria sto cercando di portare all’attenzione dei miei lettori.

E come sempre chiedo di condividere sui vostri social questa nuova rubrica e di commentare nello spazio dedicato in fondo all’articolo. Lasciate un vostro pensiero, una vostra testimonianza nel rispetto e pere rendere Onore a questi Eroi senza memoria, che oggi hanno uno spazio dedicato a loro, gli Eroi senza memoria – Julia 20 gennaio – Il massacro

Buona lettura e vi attendo al prossimo episodio della rubrica Eroi senza memoria”

Tornate a visitare i mio blog: http://www.alessandropez.it

Eroi senza memoria – Julia 20 gennaio – Il massacro

CREDO E VINCO!

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2 Risposte
    1. Grazie Emese per il tuo commento. Continua a seguire questa rubrica perchè periodicamente scriverò nuovi articoli con contenuti storici che sono andato a ricercare nel tempo. Tutti inerenti a questi eroi del nostro Esercito Italiano.