24 MAGGIO 1915 QUANDO IL PIAVE MORMORÒ

FANTE D'ITALIA

24 Maggio 1915, quando il Piave mormorò

Centosette anni fa l’Italia entrava in guerra. Il conflitto fece 700mila morti e lo lasciò una profonda crisi politica, sociale ed economica

La prima pagina del Corriere della Sera del 24 maggio 1915 titolava così:

MILANO – «Il Piave mormorava, calmo e placido, al passaggio dei primi fanti il 24 maggio».

Centosette anni fa appunto, il 24 maggio 1915, l’Italia entrava in guerra contro gli Imperi centrali, gettandosi nella Prima Guerra Mondiale dieci mesi dopo l’inizio delle ostilità in Europa.

Era un lunedì. Alle 3:30, precedute dai tiri degli obici, le truppe italiane oltrepassarono il confine italo-austriaco, puntando verso le «terre irredente» del Trentino, del Friuli, della Venezia Giulia. Nel 1918, a guerra finita, un poeta e musicista napoletano, Giovanni Gaeta, più noto con lo pseudonimo di E. A. Mario, trasformò quel momento nella «Leggenda del Piave», una canzone destinata a entrare nella memoria collettiva degli italiani.

L’Italia entrò in guerra divisa tra interventisti e neutralisti, dopo un disinvolto cambio di alleanze, dalla Triplice all’Intesa. Sulle sponde del Piave e dell’Isonzo, nelle trincee del Carso e della Bainsizza, di Asiago e di Passo Buole, di Caporetto e di Vittorio Veneto lasciò 700 mila morti. Dalla guerra ottenne Trento e Trieste, ma ne uscì prostrata, lacerata da una profonda crisi politica, sociale ed economica, che la portò in breve al Fascismo. Eppure la «Grande Guerra», come fu chiamata, è forse l’unica guerra della quale gli italiani abbiano – come si suol dire – una «memoria condivisa»: l’ultimo atto dell’epopea Risorgimentale.

La Prima Guerra Mondiale fu un enorme massacro: coinvolse 27 paesi, costò 10 milioni di morti, 20 milioni di feriti, enormi distruzioni. Fu la prima guerra moderna. Gli eserciti si trovarono impantanati nelle trincee. Nuove armi furono impiegate su larga scala: aerei, sottomarini, carri armati, mitragliatrici, gas tossici, come il fosgene e l’iprite, che prese nome dalla località belga dove il 22 aprile 1915 fece le prime vittime.

La guerra provocò la dissoluzione dell’Impero austroungarico e quello ottomano e mise fine a quello degli Zar, travolto dalla rivoluzione bolscevica del 1917. Segnò il crollo di tre dinastie secolari, gli Asburgo, gli Hohenzollern e i Romanov.

Fu l’inizio del declino della vecchia Europa e sancì l’ingresso sulla scena mondiale, come grande potenza militare ed economica, degli Stati Uniti, intervenuti nel 1917 a salvare le sorti dell’Intesa.

Si portò dietro un’epidemia – la «spagnola» – che tra 1918 e il 1919 provocò più morti della guerra; un’inflazione e una recessione che culminarono nella Grande Crisi del 1929; un’eredità di odi, frustrazioni e rivalità nazionali che nell’arco di due decenni sfociarono fatalmente nel secondo conflitto mondiale.

Una delle poche voci che si levarono contro la guerra fu quella di Benedetto XV, il «Papa della pace» del quale Joseph Ratzinger ha voluto raccogliere idealmente l’eredità, scegliendo il nome per il proprio pontificato.

Egli il 1° agosto 1917 (poco prima della rotta italiana a Caporetto del 24 ottobre 1917) chiese invano alle potenze belligeranti il disarmo e il ricorso all’arbitrato per la «cessazione di questa lotta tremenda, la quale ogni giorno più apparisce inutile strage».

Ma troppi erano i motivi che spingevano l’Europa al massacro. La rivalità economica e gli interessi in Medio Oriente di Regno Unito e Reich tedesco; il revanscismo francese per Alsazia e Lorena; lo scontro tra pangermanesimo tedesco e panslavismo sul Baltico; gli appetiti delle maggiori potenze per le spoglie del fatiscente impero ottomano; l’irredentismo in Italia e nei Balcani, dove il serbo Gavrilo Princip fece scoccare la scintilla, assassinando l’erede al trono austriaco a Sarajevo.

Ma anche il clima culturale di un’epoca che – tra lo Stato «Dio reale» dell’idealismo hegeliano e il positivismo darwiniano di Spencer – concepì la guerra come sbocco naturale delle vertenze internazionali.

In Italia, contro l’entrata in guerra furono i cattolici, i socialisti, i giolittiani. Per la guerra furono il governo Salandra, i liberali, i nazionalisti. Interventista fu Gabriele D’Annunzio, interprete a modo suo del «superuomo» di Nietzsche. Interventista fu Filippo Tommaso Marinetti, che nel «Manifesto del futurismo» aveva proclamato la guerra «sola igiene del mondo». Da neutralista in interventista si trasformò repentinamente il socialista Benito Mussolini, che lasciò la direzione dell’«Avanti!» per fondare l’ultranazionalista «Popolo d’Italia» e fu espulso dal Psi.

Qui vediamo alcune immagini attuali delle Trincee sul Carso ed una storica durante la Guerra (dal Web)

24 MAGGIO 1915 QUANDO IL PIAVE MORMORÒ – Trincea sul Carso
24 MAGGIO 1915 QUANDO IL PIAVE MORMORÒ – Trincea sul Carso
Foto dell’epoca di alcuni soldati in Guerra

Nel 1919 la Conferenza di pace di Parigi, dominata dal presidente americano Woodrow Wilson, deluse le aspettative degli interventisti. L’Italia ottenne Trento, Trieste e l’Istria, più l’Alto Adige etnicamente tedesco; ma non Fiume e la Dalmazia. Il presidente del consiglio Orlando e il ministro degli esteri Sonnino, per protesta, abbandonarono temporaneamente la conferenza, restando fuori anche dalla spartizione delle colonie tedesche.

Ne nacque il mito della «vittoria tradita», che mosse D’Annunzio e i suoi legionari a occupare Fiume e a dar vita all’effimera «Reggenza del Carnaro» e fu utilizzato a proprio vantaggio dal nascente partito fascista, avviato alla conquista del potere.

Anche la «Leggenda del Piave» di E.A. Mario finì per servire allo scopo. La crisi economica, la svalutazione della lira, la debolezza della classe dirigente liberale, le ripetute crisi di governo, le agitazioni di piazza e l’occupazione delle fabbriche nel «biennio rosso», i timori della Corona e della borghesia fecero il resto. Dal 4 novembre 1918, data della firma dell’armistizio con l’Austria, al 22 ottobre 1922, data della Marcia su Roma, non passarono che quattro anni.

24 MAGGIO 1915 QUANDO IL PIAVE MORMORÒ: Questi sono i fatti descritti in un articolo dell’epoca, ma che oggi meritano una ben più ampia riflessione sui devastanti effetti di quella guerra e di tutte le guerre che sono seguite nel tempo.

Oggi desidero rendere omaggio a quei Soldati che con onore, sacrificio e sprezzo del pericolo hanno combattuto fino allo stremo delle forze per regalarci un Paese libero e donare un futuro alle nuove generazioni.

Mi sono posto una domanda: Quanti italiani oggi sarebbero disposti a combattere per la Patria?. Ho fatto una ricerca sul web ed ho trovato questo articolo da leggere per poi tornare qui a continuare la lettura del mio blog di cui copio il link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/05/21/24-maggio-la-leggenda-del-piave-e-una-domanda-quanti-italiani-oggi-sarebbero-disposti-a-combattere-per-la-patria/6599773/

In tutte le nostre famiglie esiste sicuramente un parente che ha combattuto o che comunque ha vissuto la tragedia di una guerra ed anche ad essi va il mio tributo personale.

Oggi avrei voluto celebrare ed onorare i caduti presso l’Altare della Patria, ma le mie condizioni di salute, a causa di un incidente stradale in moto non me lo consentono.

E questo mio articolo è il mio personale tributo questa giornata da ricordare, insieme a tante altre che non devono esser dimenticate.

Aggiungo un contributo di un collega del mio 117° Corso Allievi Ufficiali di Complemento: William Rossi, un Comandante di Plotone Bersaglieri con una spiccata sensibilità a tali eventi al pari della mia e con il quale costantemente siamo in contatto per condividere informazioni storiche interessanti.

Riporto il virgolettato il cappello iniziale di William e poi lo scritto di un milite ignoto scritto durante la guerra un pensiero commovente che vi invito a leggere in assoluto raccoglimento con la mano sul vostro cuore.

William Rossi

Onori ai Caduti

Questi sono gli Arditi che, a nuoto con il pugnale tra i denti sotto un intenso fuoco nemico, guadano il Piave e lo riconquistano all’Italia. Quel giorno le acque del Piave si tinsero di rosso… oggi di rosso c’è la vergogna di chi li irride, li rinnega e non li ricorda… non li onora “

Foto gentilmente reperita dal Collega Tenente William Rossi

“Da Anonimo Ardito:

Gli Arditi dei Battaglioni 23°, 26° e 72° Bersaglieri, la loro fama li precedeva, il nemico li temeva, vennero chiamati in vari modi: “Diavoli di corsa”, “Arditi”, ecc. ma dopo questa azione per tutti furono “I caimani del Piave”.

I primi ad essere costituiti furono quelli del 26° Battaglione Bersaglieri…i primi Reparti Speciali d’Assalto, comandati dal Capitano Aminto Caretto, poi nella II^ GM Colonnello Comandante il 3° Reggimento Bersaglieri sul fronte russo (10 volte decorato al V.M. compresa la MOVM).

…Proseguimmo a piedi; al lago di Santa Croce avemmo uno scambio di fuoco con una batteria da 105 che stava ritirandosi. Gli artiglieri abbandonati i pezzi si diedero alla fuga inseguiti dagli arditi.

Entrammo in Belluno il 29 Ottobre. La popolazione ci accolse gridando e con le lacrime agli occhi .

“Più che un’apoteosi fu un delirio”.

Fra i personaggi piumati che segnarono con la loro personalità e il loro eroismo quelle giornate ve ne furono molti che avrebbero fatto parlare di sé anche più tardi. Giovanni Messe, ad esempio comandante di arditi bersaglieri, nella seconda guerra mondiale fu a capo del Corpo di spedizione italiano in Russia. Nel 1917 e 1918 Messe comandò un altro reparto d’assalto, il 9°.

Ai suoi Arditi , prima di ogni combattimento usava ripetere:”Ricordatevi che molti, negli anni a venire, diranno di aver qui combattuto. Ma nessuno potrà provare di aver fatto quello che facciamo noi”. E i suoi uomini furono davvero degli eroi. Il bersagliere Ciro Scianna , medaglia d’oro, ferito a morte, spirando fra le braccia di Messe gli disse: “Voglio baciare il tricolore”.

Il sottotenente Dario Vitali, ferito al viso e con un occhio asportato, continuò a sventolare lo stendardo del 9° urlando “Seguitemi, vi porterò alla vittoria”. Il mattino del 16 Giugno 1918 il generale Giardino, comandante l’Armata del Grappa, diramò questo bollettino: “Con meraviglioso slancio, il 9° reparto d’assalto ha in dieci minuti riconquistato Col Moschin, catturando 250 prigionieri con 27 ufficiali e 17 mitragliatrici”.

Il 26 Ottobre successivo , nel corso di un assalto all’ultima cartuccia tra il monte Asolone e il Col della Beretta, Giovanni Messe rimase circondato con pochi uomini. Il grosso del suo reparto, già messosi al sicuro, tornò indietro a salvare il comandante. Caddero molti generosi soccorritori tra cui il Capitano Franco Picaglia. Ma Messe, che si stava nel frattempo battendo come un leone, solo contro uno stuolo di nemici, venne tempestivamente liberato.

Fra i giornalisti corrispondenti di guerra, uno di quelli che più seguirono da vicino, trincea per trincea, le azioni degli arditi fu Arnaldo Fraccaroli. La sua descrizione di una delle azioni delle “fiamme cremisi” a Caposile ha ancora oggi la freschezza e il palpito dell’attualità: “Ed eccoci giunti alla nuova Domenica.

Gli Arditi bersaglieri celebrano le feste così. Nel pomeriggio ha piovuto, la sera è buia. Ammassati sulla nostra prima linea stanno gli arditi di un magnifico reparto fiammeggiante, famoso per queste irruzioni. “

Per concludere questo articolo rendo gli Onori ai Caduti dalla mia abitazione, in piedi sull’Attenti, porgo il saluto e vi invito ad ascoltare “La Leggenda del Piave” con la mano sul vostro cuore.

Viva l’Italia! CREDO E VINCO!

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