Circa un mese fa, a Milano, ho avuto l’occasione di visitare e conoscere da vicino L’Albero della Vita una onlus che da oltre 20 anni si occupa dei bambini in difficoltà in Italia e nel mondo.
http://www.alberodellavita.org
Le persone che ho incontrato lavorano ogni giorno per la tutela dell’infanzia in condizioni di disagio e mi hanno raccontato un mondo che ha bisogno di attenzione.
Lo scopo di questa intervista infatti è far emergere le situazioni che bambini e ragazzi si trovano ad affrontare, dalla nascita alla maggiore età, quando si trovano a dover crescere lontani dai propri genitori naturali.
Vittime di violenza, abusi, maltrattamenti, i bambini che vengono allontanati su sentenza del Tribunale dei Minori dal nucleo familiare di origine; come affrontano i traumi e le difficoltà che la vita ha in serbo per loro?
È importante inoltre che si capisca chi interviene per aiutarli in questo difficile percorso e come lo fa.
Parliamo quindi con Lara, Lucia e Rodrigo, che vivono queste situazioni ogni giorno sulla propria pelle.
Faccio qualche domanda a Lara Sgobbi, Educatice ed esperta in Tutela Minori
LARA, COME SI FA A INDIVIDUARE CHE UN BAMBINO E’ IN PERICOLO E COME SI FA PER METTERLO AL SICURO?
Sono diverse le motivazioni per cui è necessario mettere al sicuro un bambino, anche prevedendo, se necessario e indispensabile, un allontanamento dalla sua famiglia. A volte si tratta di situazioni in cui il bambino è esposto ad episodi di violenza domestica, come spettatore o, peggio, coinvolto in situazioni di maltrattamento o abuso. Altre volte è vittima di incuria o trascuratezza, con genitori incapaci di cogliere i suoi bisogni. Altre volte ancora il bambino si trova a subire le dipendenze (alcol o droghe dei genitori) o le loro fragilità psichiche ed emotive. In queste situazioni non è raro che vicini di casa, insegnanti attenti, pediatri scrupolosi si accorgano della situazione e provvedano ad inoltrare una segnalazione ai Servizi Sociali o alle Autorità competenti, oppure il nucleo familiare è già conosciuto ai servizi sociali per altre difficoltà o necessità di supporti, quindi viene eseguita un’indagine psicosociale del nucleo e se si ravvisano situazioni di potenziale pericolo per il bambino, questo viene appunto allontanato dalla famiglia di origine. In questi casi viene emesso un decreto del Tribunale per i Minorenni che prevede il collocamento in Comunità educativa per minori o il collocamento presso una famiglia affidataria. Laddove sussistano invece condizioni di abbandono materiale o morale il Tribunale prevederà un decreto di adozione e quindi la decadenza della responsabilità genitoriale della famiglia biologica.
COS’E’ UNA COMUNITÀ E COME SI SVOLGE LA VITA AL SUO INTERNO?
Le comunità sono strutture educative, delle vere e proprie case che accolgono appunto bambini, al massimo dieci, temporaneamente allontanati dalle loro famiglie. Spesso i bambini arrivano in comunità impauriti, traumatizzati, affaticati dalle situazioni difficili a cui sono stati esposti. Il lavoro dell’equipe educativa delle comunità (composta da un coordinatore e da educatori professionali) mira a restituire ai bambini uno spazio e un tempo di cura in cui poter iniziare a rielaborare le loro esperienze traumatiche e a riconquistare fiducia nella figura degli adulti. La vita in comunità è quindi fatta di ritualità e appuntamenti comuni (il risveglio, i pranzi e le merende, le favole della buonanotte) e di momenti individualizzati tra bambino ed educatore; per ogni bambino viene stilato un progetto educativo individualizzato dove vengono segnalati gli obiettivi di lavoro e le strategie da utilizzare per aiutare il bambino a “stare meglio”. Capita spesso, quando arrivano visite dall’esterno che ci vengano dette frasi del tipo: “ma che bella casa, ma i bambini qui si divertono, ma non sono tristi…” Forse all’esterno c’è un po’ l’idea che le comunità siano dei luoghi tetri e cupi, non è assolutamente così; non si può negare il carico di sofferenza che bambini così piccoli portano già con loro, ma l’obiettivo della comunità è quello appunto di accogliere, proteggere e normalizzare i vissuti traumatici. Il biberon di camomilla alla sera, la storia della buonanotte, le gite all’aperto e le uscite al parco sono parte della quotidianità dei bambini accolti a ZeroSei, esattamente come deve essere per ogni bambino, nel pieno diritto di vivere a pieno la propria infanzia. Le comunità, le nostre certamente, sono luoghi preziosi che proteggono e tutelano la vita di questi bambini e ragazzi che, sin da piccoli, non hanno avuto la fortuna di avere al loro fianco figure adulte di riferimento significative; non sono e non devono diventare luoghi di permanenza definitivi. È importante adoperarsi quotidianamente per costruire progetti che consentano ai bambini di vivere all’interno di un contesto familiare(come peraltro segnala la normativa di riferimento legge 184/83 e successive); per questo l’impegno concreto della nostra Fondazione è anche nella gestione di un progetto di sensibilizzazione e di formazione all’Affido Familiare. Il nostro progetto Affido si adopera quotidianamente per sensibilizzare e preparare all’accoglienza di bambini in difficoltà coppie (sposate e non) e single; attraverso colloqui ed un corso di formazione abbiamo modo di offrire alle persone interessate all’Affido degli strumenti “ di supporto per prepararsi ad accogliere “per il tempo necessario” un bambino in difficoltà. Quando parliamo genericamente di affido facciamo generalmente riferimento all’affido classico, full time, ma esistono anche forme di affido part time, come anche affidi di pronta accoglienza per bambini molto piccoli, affidi per Minori Stranieri Non Accompagnati e ancora Affido di Mamma con bambini. Per maggiori informazioni:
http://affido.alberodellavita.org/
COME È LAVORARE CON I MINORI, GESTIRE LE EMOZIONI CI RACCONTI UN CASO CHE TI HA COLPITO?
Lavorare con bambini e ragazzi temporaneamente allontanati dal nucleo familiare è una sfida quotidiana; è un costante equilibrio tra la gestione emotiva che porta con sé l’incontro con storie di infanzie difficili e l’impegno quotidiano nel lavorare professionalmente insieme agli altri attori della rete sociale (Servizi Sociali, insegnanti, tribunale) per costruire un futuro diverso per questi bambini, al fine di offrire loro nuove e diverse possibilità. Non è sempre facile gestire la parte emotiva, a volte ci sono storie che ci toccano maggiormente; per questo siamo supportati da formazioni e supervisioni psicopedagogiche periodiche, per riuscire a mantenere il giusto equilibrio tra professionalità e coinvolgimento emotivo. In questi anni ho incontrato moltissime storie di bambini e ragazzi; di molti di loro, accompagnati dopo un tempo trascorso in comunità ad iniziare una nuova vita con una famiglia adottiva o affidataria, non so più niente. Di alcuni invece continuo a ricevere aggiornamenti e foto, anche dopo diversi anni. Ogni notizia che ci arriva, ogni foto è una testimonianza di successo e di possibilità; ricordo con particolare tenerezza la storia della piccola L. arrivata in comunità in un giorno di agosto, anni fa. I suoi genitori erano entrambi dipendenti da sostanze e avevano problemi con la giustizia, oltre ad essere loro stessi fortemente bisognosi di aiuto e supporto. L. è stata la prima bimba che ho accolto personalmente; aveva circa 6 mesi, uno sguardo vispo e attivo, un sorriso irresistibile e tanto bisogno di coccole; la piccola L. ha imparato a camminare, a dire le prime parole in comunità. Ai tempi ero la sua educatrice di riferimento, ricordo che adorava essere addormentata con delle lievi carezze sulla nuca e accompagnate da una ninna nanna. Il tribunale ha deciso che per L. era necessaria una famiglia adottiva; ancora oggi ci arrivano le foto di L. ormai alla scuola elementare. Riconoscere in quel sorriso e in quegli occhi espressivi lo sguardo della bimba accolta a pochi mesi di vita è una grande emozione. Ed è anche il senso del nostro lavoro; offrire e creare le migliori condizioni per un futuro migliore.
Faccio ora qualche domanda a Lucia, genitore affidatario dal 2014 di V., che oggi ha 10 anni, e genitore affidatario di J. Da maggio 2019, che oggi ha 9 mesi.
COME È NATA IN TE L’IDEA DI AVVICINARTI ALL’AFFIDO?
L’idea di avvicinarci all’affido è maturata negli anni; tutto è cominciato con la nascita di nostra figlia naturale; in quel momento abbiamo conosciuto anche situazioni di malattia e abbandono che riguardavano bambini ed è nato il desiderio di poterli aiutare.
CI RACCONTI IL PERCORSO FORMATIVO E COME VI SIETE PREPARATI AD ACCOGLIERE UN BAMBINO IN AFFIDO?
Il primo percorso formativo lo abbiamo fatto all’interno di una parrocchia, solo dopo siamo venuti a conoscenza tramite passaparola e abbiamo iniziato il corso con L’albero della Vita; sono stati entrambi percorsi fondamentali per il nostro cammino. Durante la formazione con L’Albero della Vita abbiamo acquisito tanta consapevolezza rispetto all’Affido familiare e abbiamo riordinato le idee, comprendendo che per essere buoni genitori affidatari è importante distinguere tra i propri bisogni (bisogno di genitorialità, di avere un altro figlio..etc..), comunque legittimi e importanti da riconoscere, e i valori che invece guidano questa scelta. Essi debbono essere legati certamente ad avere compreso a pieno il senso dell’accoglienza e dell’importanza di offrire un contesto familiare stabile e caloroso per bambini che non hanno avuto questa opportunità. Ci siamo preparati all’accoglienza pensando a tutto ciò che avevamo imparato durante la formazione e poi facendo spazio nella nostra casa, acquistando ciò che era necessario e organizzando una bella festa di benvenuto. Il percorso per diventare genitore affidatario con L’albero della Vita si compone di un paio di colloqui (il primo informativo e il secondo di approfondimento psicologico); il corso di formazione prevede quattro appuntamenti. Si tratta di un percorso intenso, molto esperienziale, che richiede parecchio coinvolgimento, ma che mette di fronte ai vari momenti del “ciclo dell’affido”: la conoscenza tra famiglia e ragazzo, i primi giorni di conoscenza, l’inserimento nella nuova casa.
IL MOMENTO PIU’ BELLO NELLA TUA ESPERIENZA DI GENITORE AFFIDATARIO
I momenti belli sono moltissimi, più di quelli faticosi, che comunque non sono mancati; tra tutti l’incontro con la famiglia di origine, che ci ha fatto comprendere il senso e il valore di quello che stavamo facendo, non solo per V. ma anche per la sua famiglia di origine. La prima volta che abbiamo pranzato tutti insieme, a casa nostra, anche con la nostra figlia biologica è stato un altro momento fondamentale, estremamente emozionate; in quel momento davamo il via ad un nuovo pezzetto di una storia; una nuova storia per la nostra famiglia, una nuova storia per V., una nuova storia per noi; visti con la distanza del tempo passato insieme questi momenti hanno ora un significato particolare, ancora più importante come se fossero i pezzetti di un puzzle che ora si riesce a mettere a fuoco chiaramente. Il puzzle dell’accoglienza, della possibilità di creare uno spazio nella propria famiglia per un bambino in situazione di difficoltà.
E per concludere la storia di Rodrigo, 20 anni, ragazzo affidato.
Mi chiamo Rodrigo e sono in affido con Mauro da 7 anni, da quando ne avevo quasi 14. A scuola e con le persone che non conosciamo bene, diciamo che io sono il figlio e lui è il mio papà. È più facile, anche se non è del tutto vero. Quando sono diventato maggiorenne abbiamo parlato, ma non c’è stato bisogno di dirsi molto: Mauro mi ha detto che era disponibile a continuare ad accogliermi, e io gliene sono grato. Non ho avuto dubbi e vivo ancora con lui, che è la mia famiglia oggi. Penso che è padre colui che ti fa crescere, non colui che ti fa. Quando ho incontrato Mauro, avevo bisogno di una famiglia. Anche se lui era ed è single. Lui me l’ha data. Se ho un rimpianto è quello di non averlo conosciuto prima… Prima vivevo in una comunità. Era la mia seconda comunità, quella per adolescenti, dopo esser stato in un’altra per bambini più piccoli. Ci muovevamo sempre in massa. Col pulmino. Soffrivo nel dover condividere l’attenzione con altri, mai tutta per me. Poi c’erano ragazzi con un sacco di problemi, qualcuno non proprio “giusto di testa”. Non era facile. In comunità dopo la scuola non potevo mai invitare nessuno. Farsi degli amici in queste condizioni era dura. Ho sempre desiderato vivere altrove. Appena mi hanno presentato Mauro, non ho avuto dubbi. Era un modo per andarmene e me ne sono andato. Quello che in realtà ha significato per me, l’ho compreso dopo, lo sto capendo ora. Rispetto al mio futuro, finite le superiori, vorrei fare l’università e appena potrò mantenermi, conto di andare a vivere da solo, come desidera ogni ragazzo della mia età, anche se continuerò a frequentare Mauro, che resterà sempre, per me, la mia famiglia.
Ringrazio per queste tre testimonianze e vi ricondo che per sostenere il lavoro per i bambini de L’Albero della Vita si può fare una donazione con bonifico bancario intestato a Fondazione L’Albero della Vita Onlus, IBAN: IT31H0311101645000000039398 (UBI BANCA) o donare con carta su https://donazioni.alberodellavita.org/
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La testimonianza di Lara (che lo vive sul campo), la scelta altruista di Lucia e la rinascita di Rodrigo sono un trittico di pagine liete, in un paese dove si stigmatizza troppo spesso quello che non va.
Aver dato spazio a questa realtà, ed alle voci dei protagonisti, è una iniziativa davvero nobile.
Grazie
Grazie Davide per il tuo bel commento
Grazie per il vostro lavoro 🙏❤ e grazie ad Alessandro per l’avermene parlato!
Bellissima intervista. Sono Volontaria per zerosei e ho fatto il corso affido. Conosco Lara e ho avuto il piacere di conoscere anche Lucia.
Copio e incollo sul mio profilo!
Grazie per il commento e per la condivisione